Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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martedì 1 dicembre 2015

QUADERNI DI FINE OCCIDENTE - 1: IL PENSIERO CHE SI ARROCCA.

Io e la Spocchia ci rendiamo conto che, a tre anni dalla nascita del blog, il ritmo pubblicatizio latita, e non è per pigrizia: fatichiamo in realtà a trovare qualcosa di puccioso di cui parlare se bisogna pescarlo dal mondo dell'attualità: la politica italiana è quello che è, il mondo multimediale pure, mille opinioni sul nulla totale gorgheggiano argentine il loro vuoto e fatichiamo ad intercettarle e soprattutto a tenerle con noi. 
Allora potremmo trasformare il blog in una centrale operativa a difesa perpetua 24/7 della cultura umanistica, così costantemente messa sotto attacco dai più vari sacerdoti del materialismo empirico (esiste?). Potremmo, ma la cosa inizia pure a stancarci un po', non nel senso che non crediamo più nei valori che insegniamo, posto che il mondo possa essere salvato solo a colpi di Seneca, ma abbiamo maturato l'idea che ci vuole ascoltare lo farebbe comunque, senza però da parte nostra riuscire a guadagnarci fette degli 'altri', di quelli cioè sempre ostili al nostro mondo, quelli che ti chiedono, con faccia palesemente idiota e prevenuta: "Ma tutto ciò alla fine... a che serve...?",  e tu, uomo-Spocchia del 2015, ti accorgi che queste povere scimmie vestite, questi vivi già morti senza sapere di esserlo, calati in una non-cultura dell'attimo e dell'apparire fini a se stessi, hanno già smesso di ascoltarti dopo la prima sillaba della tua risposta. E allora, suvvia...
Ma anche parlare di noi, nel senso delle nostre più allegre fissazioni (i cartoni animati visti in gioventù, lo sfottò perenne ai bimbominkia, le teorie socio-estetiche già ampiamente esperite in Stella Moda) pare davvero poca cosa. Non avendo poi idea precisa della tipologia di chi segue (pare) i nostri post (esclusi quelli che sanno di essere esclusi), ci viene il dubbio che tanta fatica cada invano.
Quindi chiuderemo il  blog?

ASSOLUTAMENTE NO!!!!!

E POI LA SPOCCHIA DOVE LA METTO???

Era solo per dire, amico lettore che non hai tempo di cucinare, che volevamo fare quelli che si piangono addosso per vedere come reagivi: la realtà fa schifo e noi forse pure, ma non abbiamo cessato di pensare: a fronte delle novelle catastrofi francesi, potevamo anche ricicciare il nostro post post-Charlie Hebdo, ma a che pro? Forse, sull'onda del nuovo tsunami di opinioni che hanno ridimostrato quanto da noi osservato già a gennaio, cioè che NESSUNO è sceso nell'agorà multimediale per discutere o porsi domande, ma solo per menare la clava delle idee preconcette, di qualsiasi orientamento esse siano, morale abbiamo deciso di dire di nuovo la nostra, stavolta però mettendola decisamente più sull'apocalittico. Tanto, le posizioni placidamente paracule si sa dove portano, no?

Ebbene, a seguito dei noti eventi, dedicheremo tre post, o almeno credo, a tutto ciò che essi si portano dietro. Il primo, in realtà, sarebbe stato da pubblicare a settembre, dopo che eravamo stati al Festivàl della filosòfia di Modena: grande è stata la nostra delusione al sentire dotti dottori addottorare le solite nenie piagnose sulla crisi dell'Occidente senza fornire il benché minimo spunto per una minima via d'uscita. Poi la pubblicazione è saltata, perché volevamo rileggerci il romanzo di Hesse che ispirava parte dei nostri commenti, ma poi le solite cose, la scuola, l'inverno di Aasgard, insomma ecco.  Ma adesso, proprio perché i fatti parigini dimostrano che, mentre l'Occidente si occide (LOL), un altro mondo avanza, riprendo le osservazioni fatte allora, poiché le anime belle che discettano di crolli di civiltà col compiacimento di chi se ne sente fuori, come se loro a quella civiltà appartenessero solo per finta, ci hanno anche stancato. 

Cominciano dunque i Grandi Quaderni di fine Occidente di Eligio de Marinis (la sigla la farei così, giusto per omaggiare gli anni '80)

MACHITTEVOLE @FESTIVALFILOSOFIA, MODENA: IL GIOCO DELLE PAROLE DI VETRO

Gli amanti del bello e del buono prima o poi si incocciano con le opere di Herman Hesse. Ma non di Siddartha parleremo, né del duo Narciso e Boccadoro; c’è una terza opera, più filosofica della prima e più allegorica della seconda, e soprattutto talmente densa dal punto di vista narrativo, che al confronto La marcia di Radetzky di Joseph Roth è un tranquillo fumettino a strisce orizzontali: parliamo, come ogni essere vivente avrà capito, de Il gioco delle perle di vetro, cui a Modena, al Festival della filosofia, non si è accennato, ma che i quattro relatori che io e la Spocchia abbiamo auricolato venerdì sembravano voler rinverdire a tutti i costi.
“Ereditare” è il tema del festival di quest’anno. Poi, detto pure che io ho sentito tre cose sulle circa 200 in programma, più che l’eredità qui è sembrato prevalere il desiderio del ricamo, anche un po’ fine a se stesso.
Enigmatico, vero?
No, è che noi, consumati animali da festivàl, siano essi letterari, filosofici o mitopoietici, siamo tornati dalla ubertosa Emilia con un certo sgradevole retrogusto, piuttosto inedito peraltro, come se per la prima volta ci fosse sembrato che il festivàl suddetto, nella ridottissima porzione da noi esperita, si fosse ridotto a stanca ripetizione di se medesimo, senza il guizzo in avanti che in genere ci si aspetta quando si fanno attridere cotante capocce.
E torniamo ad Hesse (giravolta-volappie’-grand jeté): il titolo del romanzo di cui al paragrafo 1 del presente post fa riferimento ad un’immaginaria provincia pedagogica del 2200 in cui c’è una sorta di monastero ove ci si esercita non a pregare gli dèi, ma a produrre, in vista delle occasioni solenni dell’anno, composizioni di perle di vetro, ovvero [detta in modo orribile e superficiale, lo so...] ragnatele di idee elaboratissime e splendenti, di acuta allegoresi, che riflettono la struttura armonica dell’universo, sia essa legata al visibile macroscopico o all’invisibile quantico-relativistico. Di fatto, la bravura degli adepti è di tipo estetico-filosofico, e la traduzione in pratica di ciò sta nell’abilità tecnica di ridisegnare con le perle infinite variazioni sul tema dell’armonia. E siccome di monastero si parla, ci sono i novizi, gli esperti, e in cima a tutti il gran maestro, che Hesse immagina ad un certo punto preso da tal scocciatura per un esercizio così sterile e fuori dalla realtà da decidere di abbandonare monastero & burattini per vivere la sana e ruspante vita di tutti i comuni mortali: al primo bagno nel lago, il tapino schiatta.
Bene. A Modena erano tutti gran maestri nel pieno del loro esercizio. Mi rendo conto che un tema come ereditare si apra ad infiniti sbocchi, ma il problema qui è che i quattro concionanti (spalmati su tre interventi) hanno fatto esattamente come nel romanzo, dando cioè prova di un’abilità estrema nel ricesellare il tema di alcuni difetti della società occidentale 2.0, ma ridicendo di fatto ciò che ridiciamo un po’ tutti da almeno 15 anni a questa parte. Il che non sarebbe un problema in sé, se non fosse che è mancata del tutto una parte propositiva di spessore; peggio ancora, gli ultimi drammatici fatti legati all’alluvione di migranti che dal Medioriente stanno salendo su su per l’Europa sino alla Finlandia pare non aver minimamente toccato i dotti relatori. Vero è che il tema del festivàl sarà stato scelto molto prima dell’inizio del nuovo esodo, ma non credo che ciò comporti una tal rigidità da non poter infilare anche solo uno spunto di riflessione dentro relazioni già pronte. Anche i fatti drammatici di questi giorni sono pur sempre eredità di politiche pregresse, no?
Intendiamoci: il dotto francese François Hartog (Primato del contemporaneo) ha parlato da par suo del presentismo che affligge la visione delle cose qui da noi in Occidente, e quindi il culto dell’attimo fine a se stesso, la fuga dal passato, l’arresto delle speranze per il futuro, l’esistenza di città generiche in cui lo scorrere del tempo è negato dalla loro stessa architettura, e poi il dramma dell’istruzione piegata a logiche cibernetiche, nel senso che ci si illude che cliccando sul web si possa sapere ogni cosa e che questo sapere equivalga ad imparare, quando ovviamente non è così. E vabbe'.
Apprezzabile poi il duetto Ezio Mauro- Zygmunt Bauman (Solitari interconnessi), compìti e solerti nel riflettere sulla precarietà come cifra del vivere odierno in Occidente, dell’esistenza di poteri immateriali e sovranazionali in grado di sterilizzare il vissuto democratico e annichilire la più grande conquista della rivoluzione francese, ovvero la nascita dell’opinione pubblica, che a votare ormai ci va molto poco; chi non condividerebbe il tema dell’intrusione tecnologica nelle nostre vite, della prevalenza dei mezzi sui fini, del divario ricchi-poveri che rende i poveri sempre più inutili?
Complimenti anche a Remo Bodei (I paradossi del tempo), che discetta con abilità mostruosa (beh, lui può…) sul tema del tempo, sull’idea di esso che ci è stata consegnata da Aristotele, laddove Agostino era di tutt’altra opinione, e poi giù citazioni da Seneca (sì, LUI) fino ai giorni nostri per comprendere quale sia il vero significato della parola eternità, che non indica una durata ma una condizione, il tutto per concludere con la metafora stoica della gomena, ovvero per dire che il tempo ci si srotola davanti, ma noi possiamo sottrarci alla precarietà degli istanti che passano fermando gli eventi nella riflessione del nostro pensiero.
Benissimo. Quindi?
Non ci si accampi dietro la scusa che la destinazione nazional-popolare di questi festivàl impone temi di media fruizione per un pubblico medio, perché due anni fa vennero in tre a spiegare come ‘funziona’ il bosone di Higgs, e le due piazze della città erano piene, con tanto di pubblico interveniente di abbacinante competenza al momento di far domande. Stavolta davvero qualcosa non ha funzionato, nel pomeriggio modenese.
Mi spiego: non si tratta tanto della maggiore o minore già-sentitezza delle argomentazioni, e mi riferisco soprattutto ai primi due interventi (Ezio mio, ancora con la prevalenza dei mezzi sui fini? Ma sono 15 anni e più che Severino e Galimberti lo urlano ai quattro angoli del globo, e Galimberti proprio ne parlò a Carpi nel 2004, noi presenti…), ma del modo in cui sono state porte. I dotti intervenienti, assai compiaciuti di sé, davano l’impressione che proprio questo compiacimento fosse in fin dei conti il fine dell’intervento. Sapevano di muoversi con sicurezza su terreni ormai noti, né hanno fatto il minimo sforzo per ipotizzare uno scarto in avanti; simili in ciò agli oratori della Seconda Sofistica (bummmm!)(Spocchia-time!!) hanno amambilmente svolto l’ennesima variazione sul tema La crisi dell’occidente ed è finita lì. Spiace dirlo, sarà stata un’impressione causata dalla piadina, ma non pareva che la crisi evocata dalle loro stesse parole li preoccupasse sul serio; sembravano, semmai, tutti orgogliosi di far vedere che l’Occidente va da quella parte lì, ma loro no, loro hanno capito, loro censurano e disprezzano, offrono i loro slogan ad effetto mediatico (ricordate la società liquida e il secolo breve? Ecco...) e comunque loro sono immuni dalla pestilenza presentista-precarizzante. Insomma, tra Piazza Grande e Piazzale Re Astolfo si respirava un’aria terribilmente snob. Loro, le anime belle, tutte intente a teorizzare la rovina (altrui), poi di soluzioni vere e proprie alle questioni sollevate non se ne sono sentite. Solo che, giunti al punto in cui siamo, non possiamo davvero limitarci a sentire ANCORA che la società occidentale è individualista e liquida, che si sta devolvendo alla macchina l’universo della conoscenza, che si studia senza capire, che si vale nella misura in cui si produce. Ci dev’essere qualcosa OLTRE questa più o meno teatralmente sconsolata contemplazione dell’esistente. E questo qualcosa andrebbe trovato prestino: mentre gli amabili conferenzieri conferivano, il fiume migratorio Siria-Europa (giusto per semplificare) esondava imperterrito. Non penso sia possibile interrogarsi senza sbocco sulla crisi ATTUALE dell’Occidente mentre se ne sta profilando una ben più imprevedibile: forse lì a Modena non se ne sono accorti, ma sta avendo luogo nel Mediterraneo, a 2346 anni di distanza, il secondo rinculo delle imprese di Alessandro Magno (dopo l’invasione ottomana), per cui non siamo noi ad andare a prenderci l’Oriente, ma è l’Oriente che fa irruzione in casa nostra. Con quali conseguenze, è ora impossibile prevedere senza tema di smentita; è però chiaro che questi profughi, quale che sia la loro destinazione finale, finiranno per incidere significativamente su tutti gli aspetti del nostro vissuto, altro che società liquida e gomene del tempo. Se davvero crediamo che la NOSTRA filosofia possa ridursi a pochi slogan di sicuro effetto editoriale, ma di poca o nulla ricaduta sociale, probabilmente stiamo chiudendo gli occhi di fronte a qualcosa che potrà deflagrare in qualsiasi momento, portandosi via cittadini inconsapevoli e intellettuali in punta di penna. Ci si accoccola nel dire che l’Occidente fa schifino, non si propone nulla per disinfettarlo, e però intanto a crisi sta aggiungendosi crisi. Forse è davvero ora di smetterla col gioco delle perle di vetro, uscire dai monasteri dell’animabellismo e inventarsi qualcosa di nuovo. Che non siano i bagni nel lago, beninteso.