Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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mercoledì 26 dicembre 2012

Congedo da un amico

Ed erano giorni nuovi, dopo un'oscura notte in un cui tutto era apparso sdoppiato. Il mondo si ricomponeva, ma le personalità multiple che avevano preso cittadinanza in me e si erano sublimate l'una nell'altra al momento dello scontro con la Barriera estrema cercavano ciascuna di primeggiare sulle altre. Il profumo di notti estive venate di lampi si affievoliva, mentre la speranza di raddrizzare ciò che un'imprecisabile congiura di Natura e Storia aveva ordito contro di noi si faceva fortissima. Anche noi, tutti noi che abitavamo questo corpo, avremmo potuto conoscere gli Altri.
Ma quanti Altri ci sfilavano davanti, non più doppi, perlomeno. Però c'era quel curioso doppione di noi, alto, altissimo, dinoccolato, stralunato, a metà tra il cartoon e il fumetto. Sì, senza dubbio non aveva uno schema, o meglio non aveva uno schema secondo la Mentalità da Schemi. Lo schema era tutto suo, lui era schema a se stesso. Non lo potevi classificare, ma sentivi un'invincibile sensazione di anomalia che lo rendeva unico, in realtà. Nella sua totale astrusità e astrattezza, era pieno di amici, simpatici, brillanti, di tutti i tipi. Visto, si diceva alla parte di noi legata alla Moda, che non è necessario essere come quegli altri là per sviluppare la funzione sociativa? Lui non aveva NULLA che si potesse anche solo lontanamente incasellare negli schemi estetici vigenti, eppure viveva normalmente, e sopratutto respingeva in automatico le complicazioni. Non era per superficialità, come quegli altri. La complicazione era parte stessa del suo essere, quindi come un polo già 'negativo' di suo, non poteva accogliere negatività dall'esterno.
Ma dentro quel polo negativo, quanta profondità, quanto senso di ironica distruzione dei costrutti mentali ordinari alla ricerca di una chiave di lettura diversa delle cose! Tutto, però, senza mai sembrare, nemmeno per un millisecondo, un nerd sfigato o peggio un intellettualucolo borioso a tal punto convinto della bontà delle proprie idee, da non volersi neanche disturbare a confrontarle con quelle degli altri. Lui faceva l'esatto contrario di quello che facevamo noi, si lasciava attraversare dal mondo e, come un capace filtro, tratteneva quegli aspetti, nobili o ripugnanti senza alcuna differenza, su cui esercitare la sua filosofia apparentemente minimalista, ma in realtà dannatamente attaccata all'esserci delle cose. Noi, i grandi Sbattibarriere, invece, avevamo sempre bisogno di creare la rete pischica preventiva prima di ogni contatto con l'esterno, come se uno uscisse di casa con lo scafandro prima di decidere se recarsi in un luogo pubblico, e quindi bruciavamo occasioni di socialità a tonnellate, ci perdevamo in ridicoli film mentali, in cui le cose andavano ovviamente come volevamo noi, ma che poi risultavano fatalmente inapplicabili fuori dalla nostra nevrotica capoccia, sprecavamo tempo a valutare algoritmicamente tutte le possibili conseguenze di un semplice 'ciao' detto con la massima faccia tosta di cui in realtà non eravamo capaci.
Lui transitava, leggero e corrosivo, originale ed imprevedibile, generoso e folle, e si tirava dietro le cose del mondo esterno, rimetabolizzandole senza timore che esse mutassero qualcosa della sua architettura mentale.
E così gli anni, la scelta comune di insegnare, i diversi destini che ci hanno spesso separato. Però poi ci si reincontrava, e sempre si imparava qualcosa da lui, che ne sapeva sempre una in più, ma non lo faceva mai pesare, perché la sua ansia era di condividere; la sua didattica, da certi colleghi, diciamo così, agée ritenuta poco fruttuosa, che invece obbligava gli studenti a mettersi in gioco su qualsiasi lettura, da 'Madame Bovary' a 'I ragazzi dello zoo di Berlino', le lezioni  di storia che aprivano mondi che gli odierni bimbominkia nemmeno sospettavano, i discorsi politici mai banali né qualunquisti.
Certo, il periodo faceva abbastanza schifo, 'coi nostri stipendi si campa appena, ci viene concessa una libertà che gli altri ci invidiano e basta' e lui la libertà la traduceva in musica con la sua band. Per quanto il mondo attorno facesse di tutto per rendersi odioso, lui amava la vita al punto da scegliere il vegetarianesimo integrale. Quel tipo di vita, quella degli esseri di carne, non gli andava di filtrarlo come invece faceva con la vita delle idee e delle persone.
Il filtro, appunto: che, come tutti i filtri, prima o dopo si incrosta troppo a causa delle contaminazioni portate dalle cose, e può anche marcire. Quella sera di giugno, finalmente un altro anno da pazzi che finiva, il primo dei tagli gelminiani, ci si guardava come sopravvissuti, riflettendo sul fatto che toccava a noi pagare per i privilegi di altri. Ma si andava sul lago, ed erano le onde azzurrine e il sole dorato dietro il monte che parevano prometterci una pausa di serenità in mezzo a tanta sconsideratezza.
'Domani vado dal medico, ho questo mal di schiena che non mi molla e mi tortura!', così si congedò quella sera lacustre mentre lo sbarcavo sotto casa. 'L'età, sai, si invecchia pure noi...' celiavo io, sapendo che noi oversize (di altezza) abbiamo sempre un rapportaccio con vertebre e articolazioni in genere.
Non era un banale mal di schiena; il midollo si era messo a farsi i fatti suoi, anarchico come il suo padrone; preso appena in tempo, operato d'urgenza, con le ossa più bucherellate di un puntaspilli, radio-chemio-di tutto terapie. Lui, che aveva bevuto intellettualmente il sangue del mondo, scopriva che il suo, di sangue, era malato.
Ma era forte, ci dicevamo, si andò a trovarlo a casa un mese dopo l'operazione, non era bello il cranio pelato, ma lo spirito c'era tutto. "Che sfiga....!" si limitò a commentare. Per passare dalla sedia al letto mi si appoggiò, perché la stanza gli girava attorno, e io sentii che c'era vigore nel modo in cui stringeva il mio braccio. Voleva vivere. Certo, da allora non sarebbe stata più vita.
Sapere di potersi infettare con un niente ogni giorno, soffrire dolori atroci, sentirsi la testa che si stacca dal collo, aspettare le analisi, sperare nell'autotrapianto. Tutta la trafila che avrebbe fatto impazzire chiunque. Lui no. Ci si rivedeva, e scoprivi che si era fatto tatuare la figura di Julian Ross di 'Holly e Benji' sull'avambraccio (l'unico caso di calciatore cardiopatico della storia mondiale), ed era il suo massimo sberleffo e il suo massimo esorcismo del destino: immedesimarsi nella sorte di un cartone animato. Parlava del suo male come 'purissima sfiga', ma non poteva né sapeva piangersi addosso, avendo per lunga consuetudine con gli studi umanistici capito che la fiamma delle nostre esistenze può esser spazzata via dal soffio del destino quando meno ce l'aspettiamo. Il discorso volava sempre alto, e oltre le sue personali vicende, visto poi che, incontratolo una volta che tornava dall'ospedale con le analisi mensili, me le sventolò annoiato davanti alla faccia dicendo: 'Sì, la solita merda'.
E venne al matrimonio di una nostra amica con un involucro-maxi che conteneva il regalo di nozze, ma in braccio a lui sembrava qualche invenzione di Archimede Pitagorico. Anche quel giorno si parlò di tutto, e il godimento gastronomico non ci distrassse un attimo dal passare da Eliot alle teorie di Adam Smith con la solita lieve familiarità. Eppure non c'era mai il puzzo paludoso dell'Accademia.
Poi deve aver capito: l'ultimo invito a tutti i suoi amici in un locale qui in città, sorta di grazie-arrivederci a chi gli era stato vicino, sempre però sui toni del più giocoso disincanto. Si dev'essere stampato bene in faccia quei visi, quella sera, e per ognuno deve aver concepito un pensiero dei suoi. Non si è però chiuso in casa a lasciarsi appassire. Ha continuato a vivere fino in fondo, poiché il breve passaggio che ci è concesso nella Storia non può essere sprecato nell'autocommiserazione, e lui lo sapeva.
Così, prima di Natale, con la prima neve dell'anno, i suoi polmoni hanno respirato qualche microbo di troppo. Forse non è stata un'eziologia nosologica casuale: lui ha saputo respirare ogni minima fibra dell'esistenza e della cultura e il suo pneuma psichico se n'è andato in una volta sola assieme al pneuma respiratorio.
Così le brume del nascente inverno lo hanno salutato, e l'aria aggricciata di un giovedì sera di nevischio si è rotta al suono triste delle campane, che riconsegnavano la sua anima al luogo extradimensionale da cui era venuta. Alunni, ex alunni, amici, la testimonianza di un affetto sincero per chi non ha mai voluto essere banale, ma ci ha pure spiegato che la sofferenza non è una condanna, ma una delle facce della vita, e forse serve pure a comprenderla più a fondo. A noi Sbattibarriere l'insegnamento che, smettendo di pensare in modo nevrotico e superfluo, gli ingranaggi della vita si allentano come d'incanto.
Ciao, Nicola. E grazie.          

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