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"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



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sabato 3 novembre 2012

Dolore matematico e avvocati cinesi

Ci sono notizie che, prese spaiatamente, dicono poco o comunque "passano" rapidamente dal palcoscenico dell'attenzione e finiscono chissà dove. Quando però a una notizia appena un po' particolare se ne aggiunge un'altra, in apparenza senza alcun legame con la prima, si suscitano nel soggetto associazioni piuttosto curiose, che ovviamente deflagrano meglio se le notizie in oggetto possono essere ricondotte all'area di maggior interesse del soggetto stesso. Tutto ciò per dire che ci sono un paio di fatterelli di cronaca spicciola che mi hanno stimolato assai quando li ho messi arbitrariamente insieme: giovedì scorso dal Tg2 vengo a sapere che a Roma ha aperto il primo studio di avvocato il cui capo non solo è donna, ma pure cinese. Costei, di nome Liu Fen o giù di lì, è arrivata in Italia a 6 anni, i suoi genitori, molto originalmente, possiedono un ristorante, e dopo anni di studio & applicazione, giunta alla soglia dei 35 anni, la fanciulla si è avvocata. Superfluo sottolineare le mostruose prospettive di reddito che ha davanti, visto il giro di clientela italo-cinese che si rivolgerà a lei.
Seconda notizia:i ricercatori dell'Università di Chicago, studiando le aree del cervello in cui si attiva la sensazione di dolore connessa all'ansia, hanno concluso che tra le ansie più affini al vero e proprio dolore fisico, almeno per come il cervello le percepisce, ce ne sarebbe una legata alla risoluzione dei problemi matematici, in particolare, sembrerebbe, le equazioni, anche quelle più semplici di primo grado. Dal punto di vista strettamente scientifico noto la riconferma sull'inscindibile legame psicosomatico che fa funzionare la macchina-uomo. Dal punto di vista della potenziale ricaduta, diciamo così, sociale ed educativa della scoperta, tremo alquanto.
Il link tra i due eventi è presto illustrato: una volta di più, come persona di scuola, non posso non constatare che per troppi anni il nostro sistema educativo è stato volto a coccolare gli alunni, a toglier loro di mezzo gli ostacoli prima ancora di capire se fossero in grado di affrontarli, a compatirli se non arrivavano a certi standard, abbassando prontamente gli standard medesimi per non farli sentire inferiori, col rischio, si capisce, di rovinare per sempre le loro fragili esistenze. E' insomma quello sciagurato modello di "scuola amica", la scuola dell'accoglienza e dei contenuti minimi, delle verifichette e dei recuperini di 6 pagine al 9 di giugno mattina per evitare il 5 in pagella, la scuola, poi, che nell'ancor più sciagurato dodicennio 1995-2007 non ha più nemmeno rimandato a settembre, col risultato che chi è nato tra il 1980 e il 1989 ha avuto la sicurezza di cinque anni di scuola superiore immuni da esami di riparazione. I frutti di ciò si colgono ora: detto pure che la situazione del lavoro in Italia è eufemisticamente bruttina, non si può però dire che il lavoro, almeno in entrata, non ci sia, casomai è più facile perderlo di qualche anno fa. Fatto sta che c'è una robusta schiera di 25-30enni che non trovano lavoro o perché proprio non lo cercano o perché, ed è la cosa più grave, non sanno cosa cercare: a furia di essere "capiti", quindi giustificati a oltranza per le loro carenze, quindi depresponsabilizzati, a furia di conceder loro sempre la seconda, terza, quarta, dodicesima possibilità di recupero su porzioni sempre più piccole di programma, a furia di dire loro sempre di sì, senza mai poter sanzionare i difetti di preparazione, senza mai chieder loro un minimo di sacrificio di fronte alle difficoltà, a furia, spiace dirlo, di subire passivamente l'obbligo di promozione imposto da certi dirigenti, preoccupati solo di non perdere iscritti e anzi attrarne altri con la fama della manica larga della propria scuola, alla fine di tutto ciò i nostri ragazzi (non solo per questo, ma certo anche per questo) oggi boccheggiano in cerca di una via che non trovano perché non sanno neppure da che parte iniziare, laddove gente di Cina ci frantuma d'un colpo il cliché "ristorante- cucitura palloni da calcio- vendita di vassoi di plastica sottocosto" e ci sbatte in faccia una donna avvocato. La quale, intervistata, ha spiegato il suo successo nel modo più disarmante: lavorava dai suoi di giorno e di sera studiava. Niente di più né di meno. Domanda doppia: perché lei ha fatto così e molti dei nostri non sono più capaci di farlo? Perché quelli dei nostri che fanno come ha fatto lei spesso non arrivano allo stesso risultato? Alla seconda domanda non si può rispondere in modo sintetico, poiché bisognerebbe tirare in ballo la gerontocrazia italica, l'assenza diffusa di procedure meritocratiche ed altre squisitezze. Ma alla prima posso rispondere eccome: se la scuola vizia i suoi alunni, offrendo il miraggio della vita facile, la vita vera ci mette un attimo a bastonarli. Il problema è che da tempo la scuola è vittima anche di reti di tipo (pseudo) sociopedagogico in cui gli insegnanti spesso cadono (e non mi tolgo assolutamente dal numero) senza accorgersene. Quelle reti, che potremmo comodamente definire bambinologiche, sono tutte le riserve educative che, perfette se si tratta di alunni della scuola primaria, diventano delle palle al piede assurde se applicate agli adolescenti: l'attenzione a non squalificare l'alunno coi comportamenti riconducibili al cosiddetto "effetto- alone", ineccepibile di per sè e senza dubbio spesso ignorata in passato dall'insegnante della secondaria, può tuttavia produrre dei mostri se estremizzata: vediamo spuntare le verifiche programmate con le domande già note il giorno prima, oppure la ricerca coccolosa delle "competenze" dell'alunno, per cui se scopro che la sua passione sono i modellini di aereo della seconda guerra mondiale, come minimo devo impostare un modulo didattico su ciò, così lo gratifico. Ma è ancora poco. Peggio va quando il docente di lettere trascura di correggere l'ortografia dei temi del fanciullo, perché "sennò potrei zavorrare la sua creatività, e comunque il senso c'è"; colleghi che faticano a dare l'insufficienza per timore di sconvolgere la psiche del pargolo; lezioni di storia fatte dagli alunni in Powerpoint "così la scuola la creano loro!", eccetera. E su tutto, la continua sterilizzazione dei programmi, sempre più ristretti e sempre più facilitati per venir dietro al crollo delle capacità attentive dei ragazzi e all'impoverimento linguistico e psicologico provocato dalla sinergia consumistico-massmediologica che esalta lo stupidotto compratore a vantaggio dello sfigato che studia. Facile poi che una ragazza nemmeno nata in Italia, ma arrivata dalla Cina a 6 anni, cresciuta in ben altro clima motivazionale, si laurei in legge e superi l'esame da avvocato. Ebbene, pensate adesso se la scoperta dei dotti di Chicago cadesse in mano a qualche pedagogo d'assalto: tempo un anno, verrebbe stilato dal Ministero un protocollo volto ad "evitare il dolore matematico" ai ragazzi, protocollo nel quale, c'è da scommetterci, si inviterebbero i docenti di matematica e fisica a spezzettare la loro materia, riducendo la spiegazione delle equazioni a quelle di secondo grado nei Licei scientifici, primo grado in tutti gli altri, disegnando la x come la "chi" al Classico per far sentire più a loro agio gli studenti di greco, ammorbidendo i criteri di valutazione fino a rendere il 6 accessibile anche ad un attaccapanni. Nessuno potrebbe poi più stupirsi se da qui a qualche tempo in Italia avessimo solo ingegneri indiani, che in terza media nel loro Paese sono già in grado di calcolare gli integrali. Aiutiamoci a far risorgere la scuola da se stessa e proteggiamola dall'assalto pedagoghese. Altrime ti finiremo davvero per svendere l'Italia al primo che se la compra.

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