Motto


"Chi scende, non sale; chi sale, non zucchero; chi scende, zucchero".



Per scaricare il poliziesco pentadimensionale I delitti di casa Sommersmith, andate qui!!!

venerdì 30 novembre 2012

Vuoi vedere che mi legge? (Sallustiana again)

UPDATE DELL' 1/12: L'HANNO MESSO DENTRO. PENSA A VEDERE LA MORTE IN DIRETTA DI SOCRATE ALL'EPOCA, CHE AUDIENCE....


E' bastato tirare in ballo il processo a Socrate e lo sventurato Sallusti s'è adeguato (mi leggono, mi leggono!): oggi pomeriggio, presso la redazione del Giornale, s'è svolta una (comprensibilmente) tesa conferenza stampa, mattatore Alessandro Sallusti, sparring partner il sempre confettoso Nicola Porro, promosso sul campo direttore vicario in attesa di capire cosa accadrà al capo.
L'Alessandro, come potete vedere, ha ribadito le cose che ha sempre sostenuto, ritenendo aberrante di venire condannato a 14 mesi di detenzione per una mancata smentita riguardo ad un articolo che lui non aveva nemmeno letto prima che andasse in stampa, senza avere neppure i mezzi per effettuare la rettifica. Resta sempre a mio giudizio esilarante, pur in cotanta tragedia, che colui che ha vergato il pezzo incriminato segga beatamente incolume sugli scranni di Montecitorio: Renato Farina, alias Dreyfus (così si firmò a fondo di quell'articolo), o Betulla (questo il suo nome in codice quando faceva lo spione per conto della CIA) è stato citato da Sallusti più volte durante il monologo, e credo di aver colto una velatissima rimostranza da parte del povero condannato nei confronti della causa della sua sciagura. Non so, per quanto sembrassero riferimenti tangenziali, il mio orecchio abituato alle doppiezza dell'italico idioma ha sentito distintamente questa retro-frase: "Renato, quand'è che ti decidi a prendere le tue responsabilità e venire a farti versare l'olio bollente sulle chiappe qui al posto  mio? Hai davvero il coraggio di fare il deputatino intangibile mentre io affronto il gabbio per causa tua?". Ma si sa, i tribuni della plebe hanno sempre goduto della sacrosanctitas, l'iniviolabilità della persona, che in tempi nostri era diventata immunità parlamentare per deputati e senatori, poi cancellata, ma pure qualche minimo schermo contro l'adunco artiglio della Legge i parlamentari se lo sono tenuto.
Fatto sta che, con vena polemica appena imbrezzolita da subitanei tremolii della voce, Sallusti ha raggiunto vette di senso civico che neanche Socrate. Rivediamo i termini del confronto: qualche annetto fa, Socrate fu incriminato per aver corrotto i costumi della gioventù ateniese, nonché per aver introdotto nuovi ed anomali culti religiosi in città, il tutto con grave nocumento dello spirito collettivo, prova ne era stata la fragorosa sconfittta nella guerra contro Sparta. Dopo una vana autodifesa davanti ad un tribunale che aveva già deciso, Socrate accetta l'ingiusto verdetto e, di fronte agli amici che avevano sborsato tonnellate di  Gratta e vinci per corrompere le guardie del carcere e consentire al maestro di scappare, declina gentilmente l'offerta con il seguente ragionamento: per quanto l'accusa contro di me abbia la consistenza di un pezzo di feta macerato nel vino, io non posso fuggire, perché in tal modo trasgredirei le leggi della mia città, che probabilmente mi farebbero bau giusto mentre sto per uscire dai suoi confini, rinfacciandomi di averle tradite dopo che alla loro ombra ero cresciuto. Preferisco morire piuttosto che stuprare le mie stesse Leggi. E giù cicuta.
Ecco, Sallusti si è prodotto in una performance analoga: guai a chi pensa che io, direttore di cotanto Giornale, accetti di beneficiare della norma che presso l'opinione pubblica è già stata ribattezzata "salva-Sallusti"; non avrei mai il coraggio di stare agli arresti domiciliari, approfittando del decreto svuota-carceri,laddove circa 6000 persone nella mia stessa condizione giuridica stanno schiacciate le une contro le altre nelle comode carceri italiane. Piuttosto che fare la figura del privilegiato, attendo che i carabinieri mi traducano a San Vittore. A chi osservasse che non posso rifiutare gli arresti domiciliari, dico che la colpa è tutta di quei pasticcioni dei magistrati, capeggiati da quel comunistone di Bruti Liberati, che hanno applicato una legge assurda. Dirò di più: trasgredirò di mia volontà la condanna agli arresti domiciliari recandomi qui al Giornale al lavoro, finché non mi porteranno in carcere. Evaderò sì, ma non per rifugiarmi chissà dove, bensì per dimostrare che non voglio contentini o leggi eccezionali solo per me, ma a questo punto preferisco il carcere vero, che però sarà la prova della vostra incapacità di uomini di legge di impedire un autentico sopruso. Sono io che vi chiedo di farmi cadere dalla padella nella brace. Non mi basta la cicuta, voglio che mi facciate a pezzi.
Si nota insomma che, se già poteva suonare paradossale che Socrate giurasse fedeltà a leggi obiettivamente ingiuste (o perlomeno ingiustamente applicate), Sallusti stira ulteriormente gli elastici della logica e dichiara di voler risultare fuorilegge per vedersi applicare un'altra legge peggio di quella di cui è vittima. Certo, non avendo nessuno di noi assisitito in diretta al dialogo tra Socrate e i suoi discepoli, non possiamo cogliere quanta eventuale carica di polemica ironia potessse trasparire dal volto del filosofo mentre dichiarava quanto sappiamo. Resta inteso che Sallusti sta finendo immolato per il fatto di aver fatto parte di un ingranaggio mediatico più grande di lui, che doveva essere funzionale ad una macchina propagandistica in grado di mettere all'angolo con ogni mezzo gli avversari. Credo tuttavia che anche in questo caso si debba andare oltre, e infatti mi produrrò ora in una generosa richiesta spirante civismo.

[Roma. Piazza del Foro. La folla riunita per la provocatio ad populum di Alexander Sallustius Diurnalis (sulla provocatio, leggete qui). Sale sulla tribuna C. Aloisius Demarinius. Silenzio.]

Aloisius: Cittadini qui riuniti, assetati di quella giustizia che solo le leggi consentono di garantire, difendendo i piccoli dagli appetiti dei grandi, avete qui davanti un uomo, di più, un giornalista che si rivolge a voi, chiedendovi di impedire che lo stivale del diritto secondo lui corrotto calpesti fino in fondo la sua dignità. Avete udito le sue parole, avete dedotto la linea della sua difesa, avete raccolto in capienti ampolle ogni singhiozzo della sua voce e ora vi chiedete cosa fare. Non sarò io a condizionarvi, ma penso che i fatti dell'oggi siano i mattoni del domani. Ebbene, lasciandovi interrogare le vostre coscienze, mi rivolgo a coloro di voi che condividono con il qui presente Alexander il mestiere di giornalista, meglio ancora di direttore di giornale. Orbene, miei ottimi auditori, riconoscendo l'astrusa spinosità del caso in questione, essendo in vista le elezioni consolari di primavera, mi rivolgo a voi con una preghiera che dovete considerare provenga dal cuore stesso della Nazione: basta coi direttori di giornale che fanno le veci dei politici e vanno nei talk show a litigare coi politici veri come se fossero membri di partito. Legittimo è che un giornale si schieri politicamente con una fazione; insostenibile è che il direttore del medesimo ne sposi a tal punto le idee da diventarne non più solo il veicolo, ma addirittura il megafono. Al giornalista, anche al più invasato, si chiede perlomeno un minimo di obiettività nel saper giudicare, anche quando i rappresentanti della propria parte sbagliano. Difendere l'indifendibile e attaccare sempre unidirezionalmente l'avversario non è un vero servizio che si rende al partito di riferimento. Basta quindi coi Sallusti, coi Feltri, coi Sechi, coi Padellaro, coi Giannini, con le Concite che vanno in tivvù non a fare informazione, ma propaganda, non vanno per discutere, ma per seminare idee senza replica, non vogliono contribuire al dibattito, ma solo polverizzare l'interlocutore. Basta. State nelle vostre redazioni e salvate quel minimo di impressione di terzietà che dovrebbe traspirare anche dal giornale più smaccatamente schierato. E ancora: posto che tutti i cittadini italiani hanno il diritto all'elettorato attivo e passivo, cari giornalisti e direttori di giornali, avendo voi svolto una professione che doveva accreditarvi di una certa superpartezza, evitate di candidarvi in politica. Sono tempi in cui politica ed informazione non devono andare a letto insieme, poiché dalla loro unione promiscua nascono solo i regimi. I politici facciano, gli informatori informino e giudichino, ma il politico non entri in redazione, l'informatore non entri in Parlamento se non per raccogliere notizie. Fateci vedere, una volta tanto, che le idee non devono nascere per forza già a rimorchio di qualche segreteria. E tu, Alexander [si volta alla propria sinistra, Alexander alza stentatamente il capo], prega Giove che il tuo esempio sia da monito per costoro: chi coltiva la propria giustizia, pensando che essa debba valere per tutti, prima poi cade nella rete della giustizia degli altri. [Esce. Sipario].    

giovedì 29 novembre 2012

Al trivio della politica: due galletti ed un pupazzo (appunti di perduto pensiero democratico- IV).

Mi sta giusto andando a finire il faccia a faccia tra i due sfidanti piddini alla candidatura a premier per le prossime elezioni, il rassicurante e lambruschevole Pierluigi Bersani e il quarto dei tre porcellini, Matteo Renzi. L'ottima Monica Maggioni li ha torchiati sull'intero scibile umano (economia, ambiente, scuola - argomento su cui, oltre alla lode indiscussa per il genere insegnantizio, ho udito proposte debolucce, più che altro dichiarazioni d'intento- coppie omosessuali, alleanze, Palestina, USA, il parroco del paese, il fratello medico trasmigrato per non essere chiamato "fratello del sindaco") e i due tutto sommato si sono destreggiati su un livello di rassicurante ovvietà, con minime punzecchiature (Renzi che sbatte in faccia a Bersani a muso duro il fatto che la classe dirigente del PD che lui brama di rottamare non ha combinato un tubo in 20 anni, nemmeno la legge sul conflitto di interessi) e promesse di bersi una birra assieme. Vabbe'.
Ora, chi scrive si occupa di cose di sinistra avendo oramai da tempo perduto fiducia nella possibilità che in Italia sia mai esistita e possa esistere a breve una destra vera, moderna e liberale, niente quindi a che vedere con quella populista e particulare, oltre che furbacchiotta, rappresentata da Forza Italia prima e dal PDL poi. Non ho infatti fatica ad ammettere che ho creduto in un sogno di (centro-)destra europeo anche da noi, ma, anche qui svelo italianamente l'interesse per il mio giardinetto, soprattutto a causa delle riforme sfascia-scuola del sedicente ministro Gelmini (che poi era semplicemente il megafono delle idee tremontiane) ho perso la poesia. Posso anche aggiungere di essere tra quelli che, piuttosto di votare "quegli altri là", votavo "questi qua", anche credendoci, ma aspettando una svolta che non c'è stata. Ora almeno ho una certezza: non c'è, ad oggi, in Italia, una forza politica da cui io e la mia  Spocchia ci sentiamo rappresentati. E' quindi con occhio algidamente super partes, da votante timido e deluso, che vado a tirare le fila della giornata che va a morire;  non c'è stato solo il match Bersani-Renzi: Berlusconi, è quasi certo, vuole rifondare Forza Italia, o  qualcosa di simile, e ritentare l'avventura. Quindi: a che punto stiamo?
1) Bersani Pierluigi, alfiere dell'usato sicuro, emiliano vecchio stampo, erede diretto della tradizione ex-post-quasi non più- ma chi lo è mai stato- comunista. Su di lui, sia detto in esergo alla mia dotta trattazione, pesa il fardello che pesa su tutti coloro che alla Bolognina hanno visto Occhetto seppellire il PCI tra fiumi di calde lacrime nel 1991: nessuno, dicasi NESSUNO di loro, anche quando il PDS poi DS ha cominciato a camminare sulle sue gambucce, ha mai spiegato perché d'un colpo il comunismo era diventato un vestito impresentabile; in altre parole: tutti costoro sono disinvoltamente passati da comunisti a (risate in studio) SOCIALDEMOCRATICI dalla sera alla mattina, ma non ci hanno mai spiegato perché. Mai si è sentita una matura ed approfondita analisi sugli errori del comunismo, figuriamoci un'abiura; il sempre originale Walter Veltroni disse semplicemente di essersi iscritto al PCI contro il comunismo. Crollata la chiesa (rossa), Occhetto, D'Alema e compagnia hanno fatto finta di niente, hanno dismesso gli ammennicoli della precedente stagione e si sono presentati come qualcosa di nuovo a se stessi prima che al Paese. E' ben vero che, a Duce impiccato, nessuno era più fascista, ma erano tempi di guerra. Qui avremmo gradito un'autocritica, una presa di coscienza, l'ammissione di aver creduto in qualcosa di teoreticamente giusto, ma fattivamente aberrante. Nulla.

Il gesto che ieri sera tutti i suoi fan hanno atteso invano


Possiamo dunque credere alle sparate liberiste di chi il liberismo l'ha sempre avversato finché è restato in piedi il Muro di Berlino? Possiamo credere alle aperture al mondo dei giovani da parte di chi rappresenta un'élite politica che ha promosso i giovani, ma solo quelli della propria parte, e perdipiù in anni remotissimi, vista l'età media dell'attuale classe dirigente? Che coerenza possiamo aspettarci da parte di chi, e sono ormai 20 anni e più, mente quotidianamente a se stesso a riguardo di più di metà della propria carriera politica?
Poi certo, Bersani è lucido, secco, diretto. Non coltiva sfarfalli rivoluzionarii e non grida "delenda Carthago" ad ogni pie' sospinto  contro chiunque non la pensi come lui. E' lo specchio di una fetta di politica rimasta sospesa tra due mondi, incapace però di piantare saldamente i piedi nel nuovo dopo essersi ripulita dalle scorie del vecchio. Basta questo per salire a Palazzo Chigi?
2) Renzi Matteo, giovane sindaco con sputazzamenti di pronuncia, sopracciglio inarcato da maestro pasticcere che ti cazzia benevolmente se eccedi con la cannella nella chantilly, esponente di una  socialdemocrazia dalle foglie verdissime, ma dalle radici ideologiche non individuabili facilmente.
Ennò, te 'un l'hai miha hapita la hosa home sta, lascia dire a me!


Dopo averlo ascolato parlare dieci minuti di fila su qualsiasi topic, la voglia di tirare una ciabatta sullo schermo è tanta. Non per ciò che Renzi dice, beninteso; è irritante quel tono sempre identico del maestrino che adesso arriva lui a spiegarti tutto, poraccio tu che ti affidi ancora alle vecchie galline, vuoi mettere la Leopolda? Mio giovane candidato, non puoi davvero pensare di aver capito tutto tu e che gli altri vadano semplicemente rottamati; suvvia, siamo quasi coetanei, io e te apparteniamo alla cosiddetta Generazione X, altrove definita Generazione Bim Bum Bam, siamo cresciuti in un mondo in cui le grandi ideologie novecentesche si sono dissolte quando noi si giocava ancora coi Transformers, la tv a cartoni animati ci ha ubriacati di un  mondo impossibile, ci è pure toccato di vedere l'ascesa e il declino dei Take That e osservare la metamorfosi di Jovanotti da scemo del villaggio a profeta dell'ovvio (25 anni di carriera e un best of pronto da vendere.... perché....?). Morale: siamo figli di un'epoca che ad un certo punto si è convinta del trionfo del Bene e non ha più voluto educarci alla paura del Male; siamo cresciuti comodi, viziati, giocattolosi (ah, l'Atari, ah, il Nintendo 8bit...), ci stupivamo se i campi da calcio dove giocavamo non avevano l'estensione ellittico-parallassoide di quelli di Holly e Benji, nel vuoto delle ideologie ci siamo chiusi nei nostri piccoli mondi. Credi davvero che guidare Firenze sia propedeutico all'atto di prendere il timone di Palazzo Chigi? Credi di essere più maturo di noi perché hai moglie e tre figli? No, figliolo, puoi guidare Firenze perché questa città, come Venezia, è una cartolina a cielo aperto, uno scrigno di assolutezza che in realtà si amministra da solo, perché i suoi stessi cittadini non potrebbero mai volerne il male. E tu ti illudi di sedere a cassetta di una diligenza che in realtà va da sola. Ma l'Italia... noi che siamo cresciuti nell'epoca dell'Ammmooooore e dell'amicizia esibita come valore assoluto, nel ripudio totale della lotta, perché il genitore pagante alla fine smussa tutte le punte, noi insomma, possiamo davvero esibire quella dose di cinismo e doppiezza necessaria nella politica VERA? Tu sai che dovrai misurarti coi rappresentanti di civiltà come la tedesca e la cinese, nelle quali la mentalità comune non è stata anestetizzata fino in fondo dall'appiattimento consumistico delle idee e dal disimpegno, oltre che da decenni di politiche antimeritocratiche che hanno promosso solo ladri e raccomandati? Saprai tenere a bada le bizze dei poteri forti e delle corporazioni che in Italia DA SEMPRE azzoppano sul nascere ogni vera stagione riformistica? Noi siamo nati appena a ridosso dell'inizio dell'Era Bimbominkia (che le Grandi Cronache di Elrond collocano intorno al 1990), quindi sappiamo distinguere la realtà dal videogioco; non so, però, se tu saprai capire che giocare a fare il sindaco non è la stessa cosa che guidare uno Stivale intero. Bello il tuo stipendio messo online; carina l'idea di pedonalizzare il centro storico di Firenze. Ma l'Italia?
3) Berlusconi Silvio, imprenditore prestato alla politica e sempre più impupazzitosi in faccia, accusato di varie cose a partire ALMENO dalla sconfitta dei Romani a Teutoburgo (ma c'è chi giura di aver visto la sua manina togliere la pietra angolare della Torre di Babele), fondatore in tre mesi di un partito che si è infilato là dove la Prima Repubblica si era dissolta, catalizzatore della più copiosa e ardente colata di odio politico mai vomitata dalla sinistra italiana e non solo da quella, ora prossimo all'ennesima avventura, probabilmente disperata. Cercherò di fondere nella mia analisi il sentiment che  mi animava all'epoca della sua discesa in campo nel 1993 con tutti gli altri stati d'animo succedutisi al succedersi delle sue capriole politiche, ultima delle quali la gelminizzazione della scuola italiana (sono ripetitivo, lo so....).
Deh, Silvio, sarò un inguaribile romatico, ma penso davvero che, in quei lontani giorni che ti videro, sorridente e già vistosamente inceronato, proporre la tua candiatura per salvare il Paese dai comunisti, tu non stavi scendendo nell'arengo politico italico SOLO per proteggere le tue aziende dall'ondata revanscista di una sinistra che vedeva vicinissima la conquista di un traguardo inseguito per 50 anni e ora era pronta a fare giustizia di tutti i Nemici, tra cui figuravi ovviamente tu, l'amico prediletto di Craxi. No. Ho capito in questi anni che un sincero germe di pazzia ha animato il grosso della tua azione politica. Tu hai creduto veramente di essere il Messia, veramente volevi vedere il Paese felice e decomunistizzato, perché, anche da politico, non hai smesso di essere il fondatore della TV commerciale italiana, ovvero un uomo che mette al primo posto la felicità materiale del suo popolo, perché essa verrà così a coincidere con la sua, lui che i mezzi per consolidare quella felicità li può fornire in gran copia. L'Italia per te era una casetta di Lego da popolare di omini felici e spensierati, ma tu pure volevi essere tale. Ti sei, di fatto, voluto identificare col popolo che volevi creare, in un rapporto di immanenza mediatico-consumistica che non aveva, a quel punto, nulla di dittatoriale. Il dittatore, infatti, FINGE di essere l'Amico del popolo, ma poi si permette uno stile di vita che il popolo nemmeno può sognarsi. Tu no: volevi  incarnare un sogno che i mezzi del consumismo avrebbero reso reallizzabile per tutti, se non nei modi faraonici tuoi, in una misura tuttavia che garantisse una apprezzabile agiatezza, affrancata evidentemente dal peso del pensiero critico. Perché questo sogno si realizzasse, però, bisognava che le tue imprese sopravvivessero all'Armageddon. Avevi due scelte: schierarti col blocco moderato, finanziarlo, garantirgli l'appoggio propagandistico delle tue televisioni e, ad elezioni vinte, presentare il conto e salvare le tue attività; oppure metterti in gioco in prima persona, fidando di un carisma e di una popolarità che certo luccicavano di più della grigia oratoria tribunizia dei Rossi. Hai optato per la seconda scelta, che era la più dolorosa, e ciò mi convince che, a tuo modo, l'hai fatto per generosità e incoscienza. L'hai fatto, insomma, spinto da un idealismo che, nella TUA logica, era sincero, e nonostante tutto lo rispetto. Volevi plasmare il paese rendendolo una Gardaland perenne. Grazie, ma la storia è andata in un altro senso. Non ti perdonerò mai invece la deriva da Satyricon assunta dal tuo partito dopo il 2008: forte di una maggioranza mostruosa, ti sei abbandonato a nepotismi, minettismi, carfagnismi, gelminismi, rubysmi, hai accresciuto a dismisura la torma di servi sciocchi e yesmen incapaci di contraddirti e capaci di sostenere l'insostenibile che ti ha ronzato attorno fino ad anestetizzzare la tua percezione del reale. Come ne "I vestiti nuovi dell'imperatore", sei rimasto nudo, ma nessuno ha avuto il coraggio di dirtelo. Ascolta la Spocchia, e ti giuro che, nonostante la distruzione della scuola, che hai demandato al duo Tremonti- Gelmini, mi abbia decisamente rovinato l'esistenza, il consiglio che ora ti do è radicato nell'unico, vero  motivo di gratitudine che ho nei tuoi confronti: posto pure infatti che la tua crociata contro i comunisti fosse più pittoresca che altro, essendosi i comunisti già fottuti da soli, bene è stato che nel 1994 le elezioni le abbia vinte tu. Hai costretto il PDS ad ammodernare il linguaggio politico, lo hai spinto ad un esercizio di macerazione interna che ha reso il centrosinistra italiano, se non proprio una socialdemocrazia compiuta, almeno qualcosa di  presentabile al governo. Se i "comunisti" si fossero presi il potere nel 1994, sarebbe stato troppo presto, troppo immaturi e assetati di vendetta; paradossalmente, sei stato l'antitesi dialettica che li ha portati a spogliarsi dei tratti più estremistici della loro visione politica
Quindi? Ecco il consiglio: fingi pure di ri-scendere in campo, se proprio ci tieni, ma ad urne chiuse la sera dell'11 marzo, appena prima che escano gli exit poll, prima ancora che Vespa abbia finito di dare la cera alle poltrone di Porta a porta, Silvio, sali sul primo aereo per Antigua, Acapulco, la Tasmania, dove vuoi tu, ma non rimettere MAI PIU' piede in Italia; eviterai la più ciclopica rappresaglia mai messa in atto contro un ex-nemico dai nuovi padroni del vapore. Salverai te stesso e sopratutto le tue imprese; senza la possibilità e il gusto di vederti piangere mentre ti demoliscono Mediaset, i tuoi nemici non alzeranno un dito contro di essa. Fatti del bene e lascia che la Storia ti giudichi nei modi scultorei che soli le competono.
Vai, vola più su del blu più blu


4) Quindi chi voto? Boh...

martedì 27 novembre 2012

Caro Mario, nonnonnò

Aggiungo volentieri, anche tentando di vincere il ribrezzo per l'ennesimo ripetersi dell'identico copione, la mia voce a quelle dei tanti addetti al settore dell'istruzione che sono semplicemente rimasti basiti dalle esternazioni del nostro quasi ex- forse once again Presidente del Consiglio Mario Monti rilasciate nella nota trasmissione di Fabio Fazio intitolata: "Dite quel che volete, noi qui non si sa nemmeno il significato della parola contraddittorio", in onda su raitre l'altro giorno. Approfittando del fatto che Fazio fa sempre parlare l'ospite e non lo incalza mai, a meno che non appartenga allo schieramento di centrodestra, Marione nostro si è lasciato scappare una cosuccia: la recente protesta degli insegnanti, dettisi indisponibili ad aumentare di DUE ore l'orario settimanale, cosa che avrebbe portato incalcolabili vantaggi alla scuola in termini di didattica e cultura, ha dimostrato il prevalere nella classe docente di una logica tristemente corporativistica. Di più, le manifestazioni studentesche delle ultime settimane sarebbero state segretamente aizzate dagli insegnanti medesimi, che avrebbero sfruttato i loro stessi alunni per creare confusione e spaventare un po' tutti. Bum.
Ora, per fortuna Fazio ha parzialmente rimediato alla toppa facendo parlare ieri sera Massimo Gramellini a difesa della nostra categoria, nondimeno il vulnus resta, e lo testimoniano le numerose prese di posizione dei sindacati e dei docenti. Non vi annoio a ripetere ciò che da altri è già stato eccellentemente osservato circa l'infelice uscita di Monti (mi limito ad osservare che le ore in più che si volevano IMPORRE, senza peraltro un corrispondente aumento stipendiale, erano 6 e non 2, con conseguente ricaduta di ulteriori tagli al personale) e vado oltre: le parole del premier dimostrano anzitutto che la battaglia contro un ulteriore accanimento nei confronti della scuola, da cui è risultata la cancellazione dell'aumento di orario a 24 ore, è stata solo un episodio di una guerra che, dopo la tregua elettorale, riesploderà anche più fragorosamente di adesso. Non illudiamoci di aver vinto: dovendo venire incontro alle esigenze di risparmio previste dal fiscal compact (45 miliardi all'anno per 20 anni), qualunque governo futuro dovrà mettere pesantemente mano alla spesa pubblica, scuola inclusa. Monti lo sa e sa pure che c'è una discreta possibilità che nella prossima legislatura gli vengano affidati compiti di governo, MINIMO come Ministro dell'Economia; gli pare dunque legittimo mettere le mani avanti e cominciare sin d'ora a sottolineare la cieca chiusura del personale scolastico ai superiori interessi della collettività, con un obiettivo fin banale nella sua evidenza: proseguire la campagna di squalifica dei docenti, dipingendoli come una cricca di gretti meschinelli attaccati a chissà quali privilegi. Il popolo, la pancia del Paese voglio dire, deve sapere che, quando e se si rimetterà mano a nuovi martoriamenti sulla scuola, noi insegnanti in fin dei conti ce lo saremo meritato. Stessa logica della Gelmini: è giunto il momento che la scuola paghi.  
Allora, gente, mettetevi in testa una cosa: che i governi compattino fiscalmente e decidano tagli a sangue per 20 anni, forse inconsapevoli che andranno a creare una bomba sociale che porterà il Paese sull'orlo della rivoluzione, può starci, vista la miopia guicciardiniana che da sempre li caratterizza. Cercate però di capire che tagliare un settore come la scuola non equivale agli interventi effettuati sugli altri settori. Lungi da me creare classifiche di qualità nelle varie branche dal servizio pubblico. C'è però una verità dichiarata dai fatti: un impiegato di qualsiasi ufficio statale, anche ultracinquantenne, anche sessantacinquenne, deve avere a che fare certamente con altre persone, ma in generale si parla di adulti mediamente seri, e a ciò si aggiunge il rapporto con mute ed immobili pratiche da sbrigare. Un insegnante, invece, deve interagire quotidianamente coi ragazzi, con persone distanti da lui per età, cultura, costumi, visione del mondo. La velocità dei cambiamenti culturali e sociali della nostra epoca fa poi sì che, anche tra persone distanziate tra loro da pochi anni di età, si crei un notevolissimo divario che spesso rende ardua la comunicazione e la condivisione. La qual cosa, se già va a creare situazioni problematiche in generale, diventa deflagrante allorché è in gioco la trasmissione di quelle competenze nozionistiche e operative che andranno a plasmare i cervelli degli adulti di domani. Se i super-tagli previsti dal fiscal compact andassero davvero a toccare la scuola in termini di ulteriori tagli, come ho già spiegato altrove, l'unico vero risultato sarebbe l'invecchiamento, per non dire la mummificazione del corpo docente, giacché manterrebbero il loro posto solo quelli con maggiore anzianità di servizio. Provate ora ad immaginare una classe di futuri bimbominkia destinata ad interagire solo con professori over 50 o addirittura over 60, vista la spaventosamente alta età media dei nostri insegnanti. Spero che nessuno abbia il coraggio di affermare che la relazione educativa "non potrebbe che essere feconda", essendo essa basata sull'interazione tra un adulto fortemente esperienziato e una massa di cervelli vivacissimi e necessitanti di inquadramento. Non scherziamo: l'effetto vero sarebbe quello di un profeta decrepito condannato a parlare in un deserto che lo ignora. Ciò non vuol naturalmente dire che solo gli insegnanti giovani possono svolgere questo mestiere, ma se si intende davvero ibernare il turn over tra generazioni di docenti, si creerà un oceano incolmabile di incomprensione linguistica e psicologica tra la scuola e i suoi utenti. Il docente entrerà sempre più svogliato  e sfiduciato in classe, i ragazzi, che già faticano ad interessarsi a qualsivoglia cosa esca dal loro orizzonte videoludico- filmico- consumistico, non concepiranno alcuna passione per gli argomenti proposti, vista la terrea lugubraggine di colui che glieli ammanirà. Risultato finale? Finiranno tutti per gettarsi su internet alla ricerca di quelle informazioni che l'attività didattica non darà loro, o somministrerà in modo noioso e non coinvolgente; ecco allora che all'insegnante avvizzito non resterà che ricoprire il ruolo tanto caro alla cultura scolastica anglosassone di "facilitatore", umbratile personaggio che gironzola tra le postazioni informatiche cui sono incollati gli alunni intenti a cercare sul web i materiali per le loro ricerchine. Non più allenamento all'esercizio dello spirito critico, non più abitudine allo studio faticoso e al rendiconto degli apprendimenti, non più la spirale crescente delle difficoltà e dei risultati: tutto si risolverà nella perenne orizzontalità del problem solving e della creatività fasulla alimentata dal semplice copia e incolla di ciò che gira sul web. Questo è il futuro che si vuole per la nostra scuola, e questo è quanto si celava dietro le poche ma esplicite parole del premier l'altra sera. Pensino i genitori se i loro figli e nipoti si meritano una scuola simile.

lunedì 26 novembre 2012

Pubblicizziamo con lacrimuccia ed orgoglio...

Niente di più eccitante per un professore di lettere quando un ex allievo si distingue per decisi pregi letterari, sia nel campo degli studi filologici, sia in quello della produzione originale di tipo narrativo. Le due cose, peraltro, non sempre vanno d'accordo, dacché il filologo saggio, abilissimo e stellare nell'analizzare le opere altrui, crolla clamorosamente quando tenta di creare una cosa tutta sua; allo stesso modo, gente del tutto priva di talento nello sviscerare il cuore e il sentimento delle opere originali degli altri riesce a trasfondere nelle proprie composizioni un mondo così vasto, che alla fine si capisce che non c'è spazio al suo interno per altro.
Godo invece esagonamente nel segnalare come una mia ex alunna, di cui sono stato l'insegnante per ben TRE mesi in occasione di una supplenza su maternità nel lontano marzo 2005, non solo abbia raggiunto vette di eccellenza alla facoltà di Lettere di Pavia, laureatasi in Antichità classiche, udite udite, PROVENENDO DAL LICEO SCIENTIFICO, e quindi imparandosi il greco DA SOLA, ma abbia in atto tutta una fittissima attività letteraria che la ha finora guadagnato non pochi premi. E' quindi con gioia che, rimandandovi al suo blog, vi partecipo che un racconto scritto da Erica è giunto nella cinquina dei finalisti di un premio letterario bresciano, il Subway-Letteratura MetroBS, dedicato alla metropolitana che in questi giorni muove i suoi primi tossicchianti passi nella nostra città.
Potete fruire della lettura del racconto, intitolato Fuoco d'inverno, qui. Non mi picco di recensire minutamente il racconto medesimo, poiché è un gioiellino di brevità ed intensità tale, che sarebbe come rovinare una campanula nel volerla dirigere verso qualcuno affinché l'annusi, impedendo invece che quel qualcuno si avvicini per proprio conto. Mi limito ad osservare che, nel breve giro di davvero poche pagine, Erica crea un mondo di personaggi e sentimenti sinceri e vicini al mondo di chiunque di noi, aggiungendo tuttavia una sapientissima nota artistica nel rendere, tramite metafore semplicissime eppure perfette, tutti i sommovimenti psicologici del protagonista, scavando nel suo intimo con la levità di un narratore che si vuole onnisciente, e che tuttavia non fa dell'onniscienza una vanga con la quale ributtare in faccia al lettore strati e strati di terreno, quanto piuttosto una delicatissima sonda con cui sfiorare appena il substrato della coscienza del personaggio, per lasciare che il lettore, lentamente, vi si immedesimi. Pur essendo quella narrata da Erica una storia assolutamente adolescenziale, non vi è nulla di giovanilismo a buon mercato alla Moccia, ma tutta la profonda comprensione dei primi turbamenti dell'amore che non possono diventare merce di facile consumo, poiché, come Conrad insegna, ciascuno di noi passa la propria linea d'ombra in modo unico ed irripetibile. Cionondimeno, leggendo l'iniziazione sentimentale di Alessandro, e i modi in cui essa prende avvio, tutti noi possiamo tradurre una vicenda particolare nell'universale ricerca che ognuno compie per decifrare e dare un nome alla propria passione, anche attraverso tragitti a volte enigmatici, e tuttavia necessari allo sviluppo dell'emotività e, quindi, dell'Io più completo. Chapeau et cotillions.

giovedì 22 novembre 2012

Apologia, Critone, Fedone.....Sallusti? (Appunti di perduto pensiero democratico III).


Non è un periodo facile per il nostro sventurato Stivale: sembra che il destino si diverta a presentarci il conto di tutto il lassismo, i compromessi al ribasso, le facilonerie, gli atti di autentica incoscienza che siamo riusciti ad infilare come un rosario di bamboline voodoo nel corso di 65 anni di storia repubblicana. Diciamoci la verità: quando, fino a 23-25 anni fa, eravamo il baluardo dell'Occidente democratico in faccia all'Oriente comunista, ci si perdonava tutto. Bastava dare al resto d'Europa e agli Usa la garanzia che al timone del Paese ci sarebbe stata la Democrazia cristiana [con le frattagline social-democratico-liberal-repubblicane (e missine se proprio serviva, eh, Tambroni?)] e altri dettagliucci come l'instabilità perenne dei governi, l'intromissione sfacciata ed arrogante della politica in tutti gli appalti che andassero dalla cuccia del cane in su, i ritardi nella legislazione sociale, l'incapacità di sbarrare il passo alla criminalità organizzata costituitasi come anti-Stato al sud, insomma, tutto passava in cavalleria. Eravamo i paciocconi mediterranei, affidabili come le attuali Fiat Punto Evo, cialtroni, voltagabbana, ammiccanti con il medioriente, PERO' dai, figuriamoci se saremmo mai finiti in braccio ai sovietici. Alla fin delle finite, almeno su quello si poteva contare su di noi. Il resto era affar nostro. ["Sì, ma Sallusti?". Momento....]
Quando però il serratissimo meccanismo dell'Europa unita ha preso ad accelerare dopo il crollo del Muro di Berlino, ecco che un sistema che si credeva immutabile come le rughe di Ornella Vanoni è venuto giù come un castello di carte. L'Italia bonacciona e bonacciosa che andava bene fino a due giorni prima d'un colpo si scoprì scavalcata dalla Storia. Nessuno, dentro e fuori, fu più disposto ad accettare l'andazzo fin lì consolidatosi, venutene meno le ragioni storico-politico-tattiche. Tangentopoli, si sa....Crollato il regime democristiano, con i suoi tragici contrappesi che lo hanno reso sommamente detestabile e sommamente benefico nella nostra memoria della Guerra fredda, due regimi parimenti armati si sono ringhiosamente contesi l'arena lasciata vuota dalla Balena bianca: ["Sì, ma Sallusti?". Momento...]: da una parte, l'armata radical-chic ed elitaria dei partiti di sinistra, vicini alla ggente a parole, convinti in realtà che la cultura separi, in termini di diginità umana,  i "migliori" dai "peggiori", ben addentellata con i settori più influenti della società (università, magistratura, enti teatrali, redazioni giornalistiche, ecc.); dall'altra, la corazzata mediatica attorno a cui si è andato agglutinando il movimento politico di Berlusconi, le reti Mediaset e la stampa dei periodici Mondadori, ovvero i catalizzatori di un messaggio etico ed esistenziale incentrato sul consumismo edonista, sul primato dell'esteriorità, sulla ricchezza esibita come unico termometro del valore individuale. Se pure queste due parrocchie politiche non potevano essere più distanti tra loro dal punto di vista ideologico (cultura alta vs cultura pop, per dire, ma in realtà non vuol dir nulla), entrambe puntavano sull'uso dei mezzi di informazione come strumento di distorsione e propaganda faziosa atto a dare dell'altra parte politica non l'immagine, democraticamente ineccepibile, di "avversari", ma piuttosto quella dei nemici da abbattere, dell'incarnazione del Male assoluto da estirpare per il bene dell'Italia anzitutto, ma in generale a vantaggio dell'umanità intera. La cosa peraltro non ha costituito gran problema, essendo che la divulgazione informativa e culturale italiana è stata serva sin dai suoi albori, mai libera di dialogare col potere dominante, ma accucciata ai suoi piedi in cerca di prebende & protezione. ["Uffa, quando arriva Sallusti????".  Momento...].
Bisogna dire che le due parti di colpi bassi se ne sono scambiati assai, e volentieri. Tanto per dirne due, e lontani tra loro  così da capire quanto è durata questa ridda: l'avviso di garanzia a Berlusconi nel 1994, quando presiedeva a Napoli un vertice internazionale sulla criminalità, fu curiosamente anticipato dal Corriere della Sera; nel 2006 il Giornale  del fu Montanelli pubblicò MALIZIOSAMENTE  il testo di un'intercettazione in cui l'allora segretario di DS Piero Fassino gongolava come uno scheletro avvinazzato alla notizia della scalata di Consorte ad Unipol, cosa che avrebbe fatto "avere una banca" tutta sua al maggior partito della sinistra italiana.
E' chiaro che gli esempi si potrebbero sprecare, ma certo, se in epoca tangentopolizia chi temeva di finire nel registro degli indagati non doveva far altro che telefonare alla redazione di Repubblica e avrebbe avuto risposta, in epoche recenti sono i giornali di area PDL ad aver perfezionato un sistema di sputtanamento mediatico raffinato, benché non nuovo in un Paese come il nostro che sugli scandali ad orologeria campa da quei lontani giorni. Parlo evidentemente della cosiddetta "macchina del fango", altresì intesa come la scientifica creazione del "caso" in cui far precipitare colui che in quel momento assume posizioni eterodosse rispetto alla vulgata pidiellizia. Ecco che il direttore di Avvenire Dino Boffo finisce in odor di molestia sessuale dopo aver criticato la politica governativa nella gestione dell'esodo degli immigrati africani sulle nostre coste; ecco che Gianfranco l'Apostata Fini, uscito sbattrendo la porta da un partito in cui non ha mai creduto, scopre di aver case intestate al suo ex partito e abitate da cognati ad alto tasso di fighetteria; persino uno dei prodotti più puramente Mediaset della storia umana, Ambra Angiolini, si vede infamata sul settimanale Chi, con sospetto di corna rifilate al marito Francesco Ho Inghiottito Un Richiamo Per Anatre Da Piccolo Renga. Motivo? In pieno clima di scandali olgettinidi, Ambra aveva gridato al mondo intiero la sua indignazione per l'immagine degradante che veniva data delle ragazze coinvolte nelle vicende da Ruby in giù. Proprio una che ha cominciato la carriera come lolita di Non è la rai? Ecco pronto il servizietto fotografico signorinico, come dire: "Guai a chi critica, avete tutti il vostro bravo scheletro nell'armadio", che è poi la sintesi del relativismo costanzian- defilippico da noi ampiamente analizzato nei post ad hoc: tutti hanno la loro brava trave nell'occhio, non esiste la moralità condivisa, ciascuno viva per sé e lasci in pace gli altri.
Già. E così si pensava di arginare il crollo. Nel PDL, dico. La tattica di stornare sempre il discorso su altro, messa in atto in tutti i talk show, azzerava il dialogo. Alla prima accusa mossa a Berlusconi, ecco scattare la replica: "Ma guardatevi voi!". Il che, peraltro, è l'esatto simmetrico di ciò che si faceva in epoca di pensiero comunista dominante, quando ogni minimo appunto al Verbo Rosso era causa di scomuniche basate anzitutto sulla squalifica personale dell'interlocutore come individuo non umanamente degno di partecipare ad un dialogo che si voleva democratico, a patto che tutti la pensassero allo stesso modo. Dico cioè che, nella lunga bonaccia della Seconda Repubblica che va, pare, a morire (e temo per la Terza), chi critica cade, chi si adegua gode. Come nella Prima. Siamo cioé sempre lì, anche se cambiano i gestori della cultura dominante.
E Sallusti, insomma? Eccoci: l'attuale direttore del Giornale, all'epoca direttore di Libero,  ma interscambiatosi lepidamente con Vittorio Feltri alla guida di ambo i quotidiani,  sta rischiando (o forse non più) la galera per "omesso controllo" su un articolo di svariati millenni fa, uscito su Libero senza firma e ora scoperto essere frutto dell'agile e spionistica penna di Renato Farina, articolo che sparava a zero su un magistrato che avrebbe imposto un aborto coattivo a una tredicenne incinta, in ciò seguendo la volontà dei genitori di lei; l'articolo si chiudeva con la sobria richiesta della pena di morte per genitori e giudice; il magistrato ha sporto denuncia per diffamazione, però il colpevole è risultato non l'articolista, all'epoca anonimo, ma il direttore che doveva controllare la bomba; ergo l'articolista, oggi deputato e quindi un filino più immune del suo ex direttore, può dormire tra due guanciali, l'ex direttore, già ampiamente simile al tenente Kojak con una spruzzatina di Frankenstein, mostra da mesi ormai vistose occhiaie da notti insonni, agitate evidentemente dallo spettro del gabbio.

Credo che il commento alla vicenda sgorghi automatico da tutta la ricostruzione sin qui eseguita: laddove la magistratura ha, diciamo così, riservato una certa accorata attenzione agli affari di Berlusconi, indagandolo con sollecita puntualità a partire da dieci minuti dopo la sua discesa in campo nel 1993, la risposta a colpi di clava di Berlusconi medesimo e di tutto il suo entourage (giornali compresi) è stata un attacco a TUTTA la magistratura, rossa e politicizzata, impegnata a realizzare un progetto eversivo della libera democrazia. Chiaro quindi che anche vicende (sia detto con ogni pietà umana per la ragazzina di allora) che avrebbero avuto una risonanza pressoché nulla al di fuori delle cronache locali, avendo per protagonisti magistrati ritenuti un po' intraprendenti possono facilmente essere sbattute in prima pagina per alimentare un certo tipo di polemica. Pare però che Sallusti stavolta abbia toppato.
Resta assodato che mondo politico e giornalisti sono ai ferri corti: in Parlamento sta passando una legge anti-diffamazione che prevede al momento persino il carcere per giornalisti colpevoli di propalazione di notizie false & ingiuriose, salvo che si sta nel contempo provvedendo ad una norma salva-Sallusti che creerebbe la figura alquanto anomala del "direttore  irresponsabile" ,sollevando quindi il predetto dalla colpa per ciò che si è sfarinato sul suo quotidiano quel dì. Dicono poi che solo Guareschi nel 1948 e Jannuzzi molto più di recente sono finiti dentro per un reato simil-sallustico. Quindi perché infierire?

Se pure Sallusti ha ribadito in tutte le lingue e principali  dialetti (persino il santanchese) di non volerne sapere di provvedimenti ad personam e di preferire piuttosto la galera, vedrei nell'ambiguità della politica che agita mazze ferrate e pannicelli all'olio di lino l'inevitabile sbocco di un triste pregresso.
Dicasi: MAI, ripeto MAI in una democrazia libera e "normale" si dovrà vedere un giornalista finire dietro le sbarre per errori, omissioni o diffamazioni. Gli si commini una pena pecuniaria memorabile ed esemplare, ma MAI i giornalisti dovranno subire la deterrenza della minaccia carceraria, poiché pochissimi  avranno il coraggio di fare inchieste, denunce o approfondimenti sentendo pendere su di sé la cigolante spada di Damocle della prigionia. L'informazione giornalistica è la linfa della democrazia, poiché permette lo scambio delle idee e delle informazioni, ovvero tiene attivo il sistema circolatorio della sana convivenza civile. Se le cose non si sanno, non si sa come agire. Se non si scopre l'esistenza o anche solo l'ipotesi di un altro mondo possibile rispetto a quello in cui si vive, non si lotterà mai per cambiare. Il giornalismo è quindi professione nobile, ma rischiosa ove si prendano gravi cantonate. Si puniscano quelle, però, ma senza minacciare indirettamente chi sbagli non li fa (chissà perché mi pare di parlare della categoria degli insegnanti....).
E però l'occhio attento dell'uomo di mondo sa che il caso Sallusti va oltre questo nobil ciarlare di basi democratiche: il signor Santanché va in giro per talk show, quasi esclusivamente su La7 peraltro, a gridare la sua innocenza e a dichiararsi vittima di un perverso meccanismo da cui sarebbero immuni altri direttori ben più querelati di lui. 2411 anni dopo il processo e la condanna di Socrate, saremmo dunque davanti ad un nuovo, clamoroso caso di giustizia, se non compiutamente omicida, di certo liberticida.
E' l'Italia, signori, altro che Atene dopo la guerra del Peloponneso. Cioè: la Storia, questo bizzoso risultato delle follie umane, ha di nuovo drammaticamente accelerato negli ultimi 5-10 anni, giacché, mentre noi qui in Italia si stava a sdilinquirsi nello scontro tra destra populista e telementecatta e sinistra nostalgica e racchiusa nel fortino della Verità, l'economia diventava il vero perno attorno a cui si decidono i destini della collettività. Il governo di Berlusconi non ha saputo promuovere una politica economica seria, a causa tra l'altro della zavorra costituita dall'ideologia socialmente egoistica e particularistica della Lega, ed è franato. Con lui cominciano ora a cadere i suoi più acritici fiancheggiatori. Sallusti, rimembratelo bene, fu tra i primi ad inaugurare una nuova strategia di confronto mediatico degli uomini di destra contro quelli di sinistra. Fino a qualche anno fra, in tutti i talk show non c'era storia: D'Alema, Folena, persino la Melandri mettevano sempre nel sacco i loro interlocutori, facendo aggio sulla pluridecennale esperienza comunista delle Frattocchie, la scuola di partito da cui si usciva perfettamente corredati di facce, aplomb, dialettica sofistica per risultare sempre più convincenti nei dibattiti. Poi anche gli uomini della destra devono aver seguito qualche corso di strategia della comunicazione, poiché hanno imparato a loro volta una tecnica standard fatta, s'è detto, di aggressività togliparola, accuse di incoerenza, messa sistematica in dubbio delle parole dell'avversario. Sallusti, appunto, fu tra i primi a dare sfoggio di queste nuove robotiche abilità, facendo uscire dai gangheri nientemeno che D'Alema. Oggi la prima testa che rischia di rotolare pesantemente per andare a costituire il falò delle occasioni perdute della moribonda Seconda Repubblica è proprio la sua. Lo dico apertamente (so' anonimo, che mme frega....): questo spettro di galera per il direttore del Giornale mi sa tanto di atto primo di una serie di regolamenti di conti che rimbomberà possente quando, con la prossima legislatura, verosimilmente il PDL cesserà di essere forza di maggioranza. Di nuovo, come in tutti i fragorosi cambi di regime della nostra storia, la rappresaglia dei nuovi padroni farà strage di chi stava coi vecchi (sarà poi interessante contare i cambi di gabbana, altra  nostra specialità nazionale). Incriminare Sallusti per un articolo legato ad un fatto da novella naturalista francese del XVIII secolo è un avvertimento chiaro. Del resto, si dirà, il signor Santanché se l'è pure un po' cercata. E così tutti hanno la loro parte di ragione. Ma infatti è qui il sugo esemplare della vicenda: Socrate, nel 399 a.C., fece da capro espiatorio per un'intera cittadinanza che, umiliata da una guerra perduta contro Sparta e avvelenatasi nelle continue rappresaglie tra aristocratici e democratici, aveva raggiunto una tregua formale con l'amnistia, ma non aveva del tutto espulso i germi del malessere dal suo corpo; quale vittima migliore di questo strambo pensatore che predicava per strada e con la sua filosofia metteva in crisi gli schemi di pensiero tradizionali? Ecco, con tutto il rispetto, non è il caso di Sallusti: questo direttore di giornale non è vittima super partes di un folle meccanismo politico assetato di sacrifici simbolici; semmai paga (duole sospettarlo) pegno a una troppo radicata abitudine della società e della stampa italiana: la partigianeria.

Il Sawio Badilato- gate: complotto all'ombra di X-Factor

Mentre attendiamo con apprensione le prossime politiche, mentre uno dei candidati alle primarie del PDL viene inquisito ancor prima di dire bif, mentre la Francia perde la tripla A e a Hollande tremano gli escargots all'Eliseo, mi permetto una noticina filologica sull'esibizione di tre settimane fa degli One Direction a X Factor, perché io e la Spocchia pensiamo di aver individuato i segni inconfondibili dell'inizio del declino della band. Procediamo con ordine:
1) L'annuncio: Alessandro Cattelan, onestamente un signor conduttore, specie se paragonato a quella ceppa di Facchinetti, urla: "Adesso voglio parlarvi di una band". UNA band? Senza nemmeno quei 12-15 superlativi d'ordinanza? Nononononono ....... Poi si corregge parlando di "successo planetario", "record di vendite" e "potenza di Xfactor", mentre sullo schermo compaiono spezzoni random dei loro video, con prevalenza dei momenti idioti. Però, però, Cattelan... quell' articolo indeterminativo all'inizio... Non sei riuscito celare il disgusto, eh? Bravo,bravo.
2) L'ingresso: bah, per noi che abbiamo assistito a crolli del loggione dell'Ariston coi Take That a Sanremo, le folle urlanti di stasera paiono robetta. Nemmeno un collassino che è uno... Parte la musica di "Live while we're young" ed è subito PLAGIO. Ora, da quando io e la Spocchia conosciamo gli OD ci siamo convinti che, dietro la loro insulsaggine, lavori una squadra di mostri del marketing musicale il cui genio è riuscito a rendere star mondiali cinque onesti animatori di ospizio. Già in altre note abbiamo evidenziato come le esibizioni dal vivo e in video di costoro siano fitte di allusioni alle boyband degli anni '90, con la marcata intenzione di evidenziare il bimbominkismo degli OD, il cazzeggio leggero del loro professionismo, la mancanza di coreografie e faccine precotte , insomma l'idea che non c'è nulla di serio o di troppo studiato. Stavolta però il genio intertestuale dei produttori della band è andato oltre ogni immaginazione: la canzone in sé è il solito invito a vivere lo svacco giovanile, move your body and shake your hands, MA i primi accordi tradiscono inevitabilmente l'identità con l'inizio di "Should I Stay Or Should I Go" DEI CLASH dicasi il gruppo astronomicamente più agli antipodi di questi che si possa immaginare. Il messaggio è tuttavia lampante: nell'era del bimbominkismo, anche le canzoni dei gruppi "cattivi" possono essere riadattate per roba dell'asilo. Questa è purissima filologia, di più, è un'operazione esistenziale degna delle "Prose" di Bembo.
3) La performance: ripresici dal colpo per la dotta citazione, assistiamo allo svolgersi dell'Evento. Come nelle canzoni precedenti, è ancora Catechista ad aprire i giochi, presentandosi qui peraltro in versione "stecca da biliardo", ovvero coi capelli cortissimi, dimostrando così d'un colpo 32 anni. Il motivetto ha il solito andamento da sigletta delle Fiabe Sonore, ma l'occhio di Catechista ci pare innaturalmente spento, o meglio più spento del solito. La canzone, peraltro, è assai ritmata, ergo sarebbe necessaria una certa verve che pare assente già dalle prime battute. Ma, ci dicevamo io e la Spocchia, aspetta che tocchi come al solito a Sawio Badilato, eletto il più sexy della band da una giuria di femmine inglesi (minatrici del Sussex, probabilmente), e vedrai che scintille....GULP! Il pezzo di strofa successivo, che come in One Thing accelera e cantabilizza il ritmo per portare all'inciso (fantasia....), è eseguito da Venditore! Mentre la telecamera inquadra il sorrisino tirato della Ventura, che dà proprio l'idea di starsi facendo andar bene una recita di Natale di quint'ordine, e mentre notiamo una incontenibile Arisa, che del resto ha iniziato pure lei in versione cartone animato, i nostri fantastici amici cambiano formazione, ma con la stessa lentezza con cui ci si avvicendava al tuborilevatore di disturbi polmonari alle visite di leva. Boh, paiono dei carcerati. E Venditore? Beh, a parte una vocalità prossima allo squittìo, il suo look ha un che di inquietante: ciuffo anni '80 che solo Prince aveva il coraggio di esibire, con una vezzosa pennellata di biondo in punta, ma sopratutto DICIOTTO GIRI DI EYELINER che lo fanno sembrare una specie di PR per locali di scambisti. Canta che ti ricanta, le femmine del pubblico giulebbano, ma neppure troppo, difatti l'unica inquadrata è un tipica bimbominkia pettinata con le mollette che trasuda ottusità, ma non certo trasporto, niente a che vedere con le sincopi atriali delle fan dei Take That. Vabbe', mo' arriverà il refrain. E Sawio Badilato? Nulla. Parte l'inciso (e se lo ascoltate immaginando il ritmo dell'inciso di One Thing, converrete che sono pressoché identici) e i cinque si ammosciano ulteriormente. Figlioli, voi che avevate 10 anni quando gli *Nsync facevano queste cose, non potete davvero eseguire un pezzo così festaiolo senza zompettare almeno un po', suvvia... E invece va proprio così: i simpaticoni si dispongono come sempre a ventaglio, gesticolano a caso, ma bolsi come capodogli al casello per la Slovenia. E Sawio Badilato non compare mai... In compenso l'immagine cattura per un attimo Louis Marinaretto, serissimo, quasi imbronciato, al quale neppure i 25 chili di cerone riescono a mascherare le vistose occhiaie DA SONNO dalle quali deduciamo che i cinque si siano abbondantemente deliziati con la movida milanese prima della trasmissione. Anzi, ecco spiegato tutto quello spreco di matita per occhi: sono venuti in studio direttamente dall'Halloween party! Comincia le seconda parte dell'inciso e il ventaglio s'allarga. Finalmente, seppur di sguiscio, ecco inquadrato Sawio Badilato. L'umanità è salva. Però, però... l'occhio di noi abituati all'odio della gente ci fa notare la posizione eccessivamente defilata del suddetto rispetto agli altri, tanto che la telecamera nemmeno lo segue. Lui pure, mentre gli altri garruli barriscono UOUOUOUOU-O-O-O!, li osserva, ma non si associa. E qui cominciamo a sospettare che ci sia sotto qualcosa. Se del resto si dà un'occhiata al video della canzone, sorvolando sulle solite scene da asilo come quella di loro dentro le bolle di plastica o a cavallo di una banana di gomma, si nota che Sawio Badilato è inquadrato spesso e volentieri, anche se effettivamente non gli vengono assegnate parti specifiche da cantare. Qui da Cattelan invece sembra quasi un intruso.La seconda strofa è eseguita ancora più fiaccamente della prima, e in più la seconda metà è affidata a Biondo Insulso, che però, vuoi per la magliettina vivace che gli accende le pallide gote, vuoi per la pettinatura da galleria del vento, è piuttosto ben preso, cioè ben preso se lo paragoniamo alla catatonia degli altri. Sawio Badilato continua a non pervenire. Qualcosa di più, giusto due inquadrature sghembe, ci viene offerto nel secondo inciso, e alla fine, quando c'è da gridare al mondo: "And live while we're young!!!", Sawio Badilato tira fuori i tre semitoni di cui lo ha dotato Madre Natura e spara fuori il suo migliore acuto. Segue il solito intermezzo con accenno di coreografia sfotti-Take That, per l'occasione "il tango del gondoliere", ma le facce, rispetto al momento omologo di One Thing, sono decisamente meno convinte. E qui il dubbio, l'opinione, fors'anche la speranza: che questi embrioni di Pokemon si stiano rendendo conto di quanto sono infantili? Ciò significherebbe, s'intende, l'avvio di un percorso di maturazione interiore alla fine del quale nessuno di loro avrebbe davvero più il coraggio di fare quel che hano fatto finora, cioè sarebbero mediaticamente finiti, ma visto che la durata delle boyband è quella che sappiamo, la cosa non sarebbe neppure male. Sawio Badilato, poi, guarda spesso fuori scena, come se aspettasse che arrivasse qualcuno a portarlo via. E' chiaro che c'è qualcosa che non sappiamo. La conferma ci viene dall'ultimo segmento di canzone: il bridge viene ANCORA eseguito da Venditore, e l'orecchio anche qui viene riportato a svariate canzoni finto-esotiche degli ultimi anni, poi c'è la ripresa finale, nella quale i nostri amiconi paiono risbaldirsi un attimo, forse perché intravedono la fine dello strazio: a Louis Marinaretto torna il sorriso, Biondo saltella, Catechista si dimena, Venditore si lancia addirittura nei contralti, benché l'effetto sonoro sia quello dello sforzo intestinale, ma in tutto lo zapping sulle facce dei ragazzi Sawio Badilato non viene MAI preso dentro, dicasi MAI prima degli ultimi 5 secondi di canzone. Anche se la coreografia (si fa per dire) lo piazza in mezzo al gruppo, gli altri non se lo filano di pezza e lui guarda giusto un secondino Catechista come a dirgli: "Dai che è finita!" e già che c'è ci caccia dentro pure una DISCRETA svisatura, mentre il compagno gli poggia una mano sulla spalla, più per appoggiarsi che per dimostrare sostegno. Poi tutto finisce su un ultimo gorgheggio di Venditore. Giunti a questo punto, io e la Spocchia ci convinciamo che all'interno del gruppo si è entrati in fase sindacale: Venditore e Biondo Insulso, da sempre i più sacrificati a livello di inquadrature e risonanza mediatica, si devono essere ammutinati per ottenere più peso specifico nella band, approfittando della distrazione di Catechista, che odia palesemente gli altri 4, ma li sopporta pro bono pecuniae, e della fragilità di Louis Marinaretto, che giunto ormai a 21 anni fa fatica ad accoppiare i pantaloncini da scout con le camicie slim fit da aperitivo sui navigli. Vittima della ribellione, appunto, Sawio Badilato, il cui ruolo nel video della canzone, si è già detto, è di fatto ornamentale, ma che stasera pareva davvero un alieno, stanco e svogliato, ma soprattutto senza alcuna sintonia con gli altri. La messa in minoranza deve bruciargli parecchio. L'altro segnale dell'avvenuta rivolta è proprio il fatto che sono Venditore e Biondo Insulso ad avere il look più evoluto rispetto al passato, mentre gli altri sono bene o male sempre acconciati uguale.
4) L'intervista. Abituati all'altra volta, quando ad intervistarli c'era il giurassico Giannimorandi, le cui dotte interrogazioni necessitavano del traduttore simultaneo via auricolare, gli OD risultano spiazzati, quasi nel panico, a sentirsi mitragliar domande direttamente in inglese da Cattelan, che ha un livello di fluency decisamente positivo, sì che gli riesce pure di tradurre sia le domande che le risposte. Dal dialogo veniamo a sapere che i nostri pucciosotti hanno pronto il secondo album (del resto una boyband media defunge dopo il quarto....), sono tanto grati alle fans italiane per il loro calore, verranno da noi a fare due concerti a Maggio e blablabla. MA ancora una volta è lo svolgersi delle cose a dirci parecchio: finita la canzone, il classico "grazie" pronunciato all'anglosassone spetta a Sawio Badilato, che poi però dice un "ciao" trasudante mestizia, come se lo stessero cacciando via; quindi, ricurvo nelle sue spalle strette e nella giacchetta di lontra color melanzana, si dirige con gli altri verso Cattelan, sistemandosi i pantaloni, privi di cintura come usa oggi; gli altri si muovono come se lui fosse fatto di aria. Durante l'intevista parlano solo Biondo Insulso, che si è infilato un paio di lenti a contatto modello telescopio, e Catechista. A un bel momento, Cattelan ci informa che nel pomeriggio la band ha incontrato, come sempre succede, i concorrenti del programma, "Vogliamo vedere il filmato?" chiede poi, e Sawio Badilato, che appena prima aveva sbuffato di fatica & afflizione, riesce solo a dire: "Yya!", ma con una delusione folle del tipo: "No, pure questa...". Il filmato dell'incontro è a tratti imbarazzante, poiché gli OD guardano i concorrenti italiani come se si trovassero al museo delle rarità zoologiche; le domande sono sempre le solite, le risposte annoiatissime, ma dobbiamo pur rifletterci: "Com'è la vita da star?", risposta di Catechista (mentre Sawio Badilato si sfrucuglia i capelli in evidente accenno di abbiocco montante): "No, non stiamo prendendo le cose troppo sul serio" (NON CE N'ERAVAMO ACCORTI!!!); poi: "Com'e cambiato il vostro rapporto con le ragazze?" e nessuno risponde, o meglio c'è una riposta collettiva che vuol dire tutto e niente (saggiamente hanno evitato di inquadrare Louis Marinaretto); ma sopratutto: "A cosa avete dovuto rinunciare per essere famosi?" e qui Sawio Badilato vorrebbe dire la sua, infatti esordisce con: "I think...", ma subito l'arpia Biondo gli si sovrappone per dire, originalmente, "friends and family". Segno di cose che bollono in pentola. Infatti, per dire a nuora in modo che suocera intenda, dopo che Cattelan tira le fila dell'incontro spiegando ai suoi concorrenti che "dovete farvi il mazzo", Sawio Badilato chiede di poter dire ancora qualcosa, nonostante tutti siano già pronti per andare a mangiare. "Please", dice Cattelan, e il nostro invita i ragazzi a sorridere, perché uno tra loro sarà il vincitore e li vede un po' troppo tesi. Il fatto è che l'invito a sorridere è formulato con una faccia anche più triste della loro. Ma noi ODR sappiamo bene che il messaggio è trasversale: "Ragazzi, sorridete adesso, perché se poi finite in una boyband come è successo a me, il sorriso ve lo faranno perdere i compagni...". Ebbene, ci diciamo io e la Spocchia, qui siamo ben oltre l'ammutinamento: il povero Sawio Badilato sta subendo un autentico mobbing da parte degli altri. La conferma avviene quando si ritorna in studio: tra fuggevoli inquadrature di directioners con l'apparecchio e ragazze attonite da tanta beltà (ma ai tempi dei Take That e dei BSB, ecc. ecc.), i cinque tornano a centropalco, sempre muovendosi scimmiescamente, distrutti nel fisico e fors'anche nello spirito, e Cattelan si sbrodola in ringraziamenti ed altra roba, sempre bilinguamente. Solo che in mano a Sawio Badilato è ora comparso uno strano coso di tessuto bianco. Gulp, non finirà che gli fanno anche pulire il palco dopo la trasmissione? Il Badilato, con le sue spallucce strette e il capello ribelle, pare in effetti piuttosto frastornato. Intanto Catechista ringrazia con la convinzione di un telefonista di call center, e giù urla e lacrime delle fans (anche se ecc. ecc), tenkiù tenkiù, siusùn, ed ecco, prima del congedo definitivo, Sawio Badilato che svolge l'involto e scopriamo che si tratta di una maglietta. Il tapinello resta lì imbambolato, perchè gli altri hanno già preso la via che porta al buffet, ma per fortuna l'occhio di lince Simona Ventura si alza dalla postazione e gli corre incontro. Dal che si deduce che la magliettà è per lei. Il fatto è che questo pezzo dello sketch, lungamente provato prima della diretta, è evidentemente uscito dalla memoria di tutti, sicché va a ramengo l'effetto- regalone, con Cattelan che goffamente singhiozza: "Oh, Sawio Badilato, yes.... un regalo che quasi mi stavo dimenticando per il nostro giudice Simona Ventura!" ma ormai la scena è irrecuperabile, Sawio Badilato che farebbe pure per appallottolare la maglietta e lanciarla alla destinataria, ma Ventura è troppo conscia che un secondo in più di inquadratura rispetto a Morgan vale oro e si butta sul ragazzo e lo sbaciucchia, portandosi via la maglietta. Bene: ciao, ragazzi, si esce da questa parte, anzi, fa lo spiritosone Cattelan, "this direction, yes, this direction", uh, che ironia, e l'ultimo a essere congedato, con una pacca sulla spalla che sa molto di "fuori dai piedi, dai..." è proprio Sawio Badilato.
5) Conclusione... No no no, ragazzi, non ci siamo. Troppo appesantiti, troppo robottini, troppo con la testa altrove.... Dura, eh, svegliarsi nel mondo Bimbominkia e scoprire che anche fare la parte dei pagliacci è tosta quando diventa business.... Sì,  è chiaro che il peso di due anni pressoché ininterrotti di tour, interviste, videoclip scemi e quant'altro diventa difficile da sopportare, specie se si era affrontata la cosa partendo dalla piattaforma bimbominkiese secondo cui la serietà è sempre altrove. Voglio dire: il paradosso della loro situazione è che hanno sottoscritto per contratto di fare la parte dei giocattoli viventi; tuttavia, se si è costretti per contratto a sembrare "senza contratto", immersi cioè in un mondo di disimpegno e bambolotteria perenne, ben oltre ciò che l'età consentirebbe (parliamo comunque di ventenni, non di neonati), prima o poi la situazione sfugge di mano e la psiche cede. Crediamo cioè che il personaggio che ciascuno di loro deve incarnare si stia rivelando ben più prosciugante del previsto. Da qui deriva, secondo noi, anche l'ammutinamento di cui ha fatto le spese il povero Badilato: se marionette dobbiamo essere, si saranno detti Venditore e Biondo, che almeno ci sia giustizia nel distribuirci la visibilità. L'evento costituisce in effetti una discreta novità rispetto al panorama boybandistico che ci sorbivamo ai tempi, quando su MTV ci toccava subire un video dei Backstreet Boys ogni tre canzoni: nei Take That Gary Barlow, nonostante il fisico da otaria, dominava evidentemente gli altri quattro, anche perché poteva minacciarli di sedercisi sopra in caso di ribellione; così pure Ronan Keating catalizzava l'attenzione nei Boyzone con il suo faccino da prima comunione; nei 5ive e nei Westlife ci si era messi d'accordo per cantare ciascuno un pezzettino; nei BSB, ove pure vigeva questo schema, il dominio mediatico di Brian&Nick era evidente a tutti noi, e nessuno fiatava; negli *Nsync Justin Timberlake e JC Chasez mettevano comodamente a cuccia i tre compagni, cantandosi tutto loro. Ma qui? I vespri unidirezionali? La rivoluzione guanciuta?  Le dieci giornate di Venditore? Ovvio, del resto: fare gli scemi per denaro è molto più difficile di quanto non sembri. Se poi vi tocca farlo in coabitazione con altre quattro persone che sono state praticamente imposte, il supplizio è indicibile. Rircordiamoci che questi qui volevano partecipare a X Factor UK da solisti e solo in seguito li hanno messi assieme. Ma forse che basta che un docente metta accanto due alunni tra loro sconosciuti il primo giorno di scuola perché nasca un'amicizia? Può succedere, ma anche no. Figuriamoci in una boyband, coi ritmi massacranti di vita di una boyband, dovendo poi dare all'esterno sempre l'idea che si sta giocando. Vedremmo dunque i simpatici OD ad un passo dal ricovero. E il Badilato? Il mobbing ai suoi danni è poco meno che evidente, ma del resto è impossibile che all'interno di una boyband il più carino prima o poi non cominci a sentirsi anche il più importante. Secondo noi il Badilato ha già pronta l'avventura da solista e gli altri stanno facendo di tutto per rendergli meno sgradevole possibile il distacco dal gruppo. Ipotesi? Chissà.....

martedì 20 novembre 2012

Sogni di un Quirinale condiviso (appunti di perduto pensiero democratico - II)

Vorrei immaginarmi, in una delle dorate e sberluccianti stanzette del nostro Palazzo Della Presidenza -già Reggia Dei Papi Fino A Pio IX, appeso alla parete un calendario come quelli che ti regalano le banche a capodanno, fatto con quella carta/cartoncino traslucida e discretamente puteolente su cui si riesce a scrivere qualcosa solo calcando pesantemente la mano. Ebbene, da circa un anno quel pratico calendario è segnato ogni giorno con tocco rabbioso e insieme tremante, nel senso che su ogni data è impressa una crociona, come il conto alla rovescia che fanno i soldati quanto sentono avvicinarsi la fine della naja. L'unico dettaglio è che non siamo sotto naja e non ci sono soldati: l'autore delle crocione sul calendario è il nostro quasi ex-presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il quale, nell'ultimo anno, avrà cordialmente maledetto almeno dodici volte al giorno il fatto di essere stato innalzato ai fasti quirinalizi sei anni fa. Non dev'essere stato per nulla facile gestire i turbinosi giorni dello spread dell'ottobre 2011, litigare con Berlusconi, scegliere Monti, fornire puntelli & stampelle all'azione del governo tecnico anche nei momenti più impopolari e gaffeggianti (IMU, esodati, 24 ore degli insegnanti, ragazzi choosy, Ilva di Taranto brucia se puoi, ecc.). Ricordiamo che il Compagno Gio ha fatto il filotto delle 86 primavere, e che primavere: robusta militanza comunista prima, bagnetto di candeggina nel PDS poi, ministro dell'Interno, senatore a vita, gli è toccato assistere al crollo di casa sua (la climax discendente Berlinguer- Natta-Occhetto- D'Alema- Fassino-Veltroni-Franceschini-Bersani- RENZI!?!?!?!?), nel frattempo, in mancanza di chiunque altro lo hanno pure eletto Presidente Italico.
Già. Dirò che le ultime mosse di Napolitano, da Monti in giù, hanno indubbiamente rivelato una capacità d'azione e uno spirito d'iniziativa che non mi sarei aspettato in un pacato ex-comunista con in mira un ospizio per abbienti sulla Mergellina. Plaudo senza dubbio. Ma non scordo come siamo giunti a quirinalizzarlo e tremo parimenti all'idea che una qualsiasi delle pazzoidi riforme costituzionali che i nostri parlamentari possano sfornare oggi o chissà quando preveda l'elezione diretta del Capo dello Stato. Non ho nulla in contrario alla procedura in sé; rabbrividisco se la penso applicata in un Paese come il nostro. Vado semplificando:
A) E' pura follia osare solo lontanamente immaginare quale Parlamento nascerà dalle elezioni del 10 marzo. Certo, quale che sia l'esito del voto, l'Italia ha bisogno di uscire da una troppo lunga stagione di odio politico, polarizzata attorno al binomio Berlusconi-Resto del mondo. Dal 1994 ad oggi abbiamo visto riversarsi in TV e nelle piazze fiumi di lava e fango che hanno mostrato il degrado della convivenza civile in un Paese dove ormai la militanza politica è ridotta a tifoseria, la partigianeria acceca di fronte all'evidenza oggettiva dei fatti, il sofisma dialettico e il colpo di clava si alternano con voluttà per uccidere sul nascere qualsiasi dibattito serio. Serve indubbiamente un salto in avanti in fatto di maturità, in primis da parte dei nostri politici. Tale maturità, se prima del 1992 poteva dirsi formalmente esibita nelle aule romane e sotanzialmente affossata dalla partitocrazia ai quattro angoli dello Stivale, è definitivamente scomparsa con lo scoppio dello scandalo di Tangentopoli e il conseguente sommovimento del quadro politico nazionale. Se c'è infatti almeno un momento in cui un Parlamento, anche se diviso dalle barricate ideologiche più spesse, può mostrare a se stesso e agli elettori cosa voglia dire rappresentare una nazione, è l'elezione del Presidente della Repubblica. Dal 1948 al 1985, quando l'Italia era percorsa trasversalmente dall'opposizione tra Democrazia Cristiana e PCI, anche nello ore più buie, anche dopo estenuanti tornate di scrutini senza esito, e dopo trattative- fiume sottobanco e in case private, uno straccio di Presidente che ottenesse una maggioranza decentemente numerosa di votanti si è sempre trovato. Per Gronchi e Saragat, seppure dopo giravolte indescrivibili; per Leone, eletto praticamente a Capodanno; per Pertini, salito al Quirinale nell'anno del sequestro Moro e del quasi- impeachment del suo predecessore. Tacendo di Einaudi e Cossiga, giunti al traguardo al primo colpo e con una signora maggioranza.
Insomma, in qualche modo una figura che, almeno numericamente, potesse essere rappresentativa dell'Italia tutta saltava fuori. In modo, tutto sommato, ordinario. Ecco, da 20 anni non è più così, ed è qui che io colgo uno dei segni più gravi di squinternamento della nostra classe politica: nel 1992 Scalfaro fu eletto in tutta fretta dal sabato al lunedì, perché il 23 maggio, mentre a Roma ci si beava nelle votazioni senza sbocco, a Palermo la mafia uccideva Giovanni Falcone con una trappola al tritolo più adatta ad un convoglio di tank sovietici in Afghanistan. Certo, Scalfaro si infornò l'ottima cifra di 672 voti (vado a memoria, ma siamo lì), però, come giustamente scrisse Montanelli, più dei mille grandi elettori avevano contato i mille chili di tritolo su cui era saltato in aria Falcone. Diversamente, politici appena eletti ad Aprile, col terremoto tangentopolizio solo agli inizi, avrebbero continuato a farsi beffe di un Paese che ormai non credeva più in loro. Invece, come bambini che hanno rotto il vetro con la palla, hanno di colpo fatto i bravi.
1999: in un'Italia fresca di ingresso nell'Euro, ancora agitata dalla guerra in Kosovo, guidata da un governo di centrosinistra nato da una complicata operazione di chirurgia parlamentare (via Prodi, fuori Bertinotti, dentro D'Alema e l'UDR, manipolo di fuggiaschi ex berlusconidi), non ci si riesce ad accordare sul nome del successore di Scalfaro (che pure aveva lasciato balenare l'ipotesi di farsi rieleggere, ma tutti finsero di non sentire). Tanto profondo è il solco tra un centrosinistra perennemente in cerca di baricentro e un centrodestra che stava riallacciando i rapporti con la Lega Nord, che non si riesce a spremere UN nome, uno solo su cui far convergere i voti del Parlamento. In compenso erano tutti a "Porta a Porta" a disquisire di "scenari". Poi, consci di essere ad un passo dal ridicolo più irreparabile, ecco l'idea: mettiamo un tecnico, magari uno che gode di stima e che a fare il tecnico ci sguazza. Ciampi, per dire, Presidente del Consiglio (tecnico) prima di Berlusconi nel 1993, ministro dell'Economia (tecnico) con Prodi, massì perché no? Giù voti, anche qui abbondanti. E le prime interviste dopo l'elezione... Parlamentari di tutti gli schieramenti che si fregano le mani compiaciuti, fieri di aver dato al Paese un nuovo inquilino del Quirinale, ma sopratutto "finalmente abbiamo scelto una persona trasparente, fuori dalle logiche partitiche, uno FUORI DAL PALAZZO!!!". Prego? Siete lì dentro in 945, oltre ai senatori a vita, tra di voi non siete riusciti ad accordarvi su UN nome e adesso menate vanto di aver preso un esterno? E poi cosa vuol dire "fuori dal Palazzo"? E' l'ammissione neanche tanto implicita che DENTRO al Palazzo siete tutti così marci e compromessi da non poter esprimere nemmeno un candidato alla presidenza della Repubblica? Ma per cosa vi abbiamo eletto?
2006: l'Unione di Centrosinistra (altresì detta: "Basta che tu sia contro il Cavaliere che ti prendiamo a bordo") vince le elezioni, garantendosi una comoda maggioranza alla Camera e uno stillicidio di margine al Senato, comunque i numeri sono suoi, il diritto di esprimere il successore di Ciampi pure. Al centrodestra resta solo l'acre gusto del dispetto di dire NO a tutti i  nomi proposti. Finché, anche qui per evitare il ludibrio, salta fuori il nome di Napolitano. Berlusconi e i suoi, giusto per non fare la figura degli sfasciacarrozze ad inizio legislatura, accettano, ma non partecipano al voto ("MAI voteremo un comunista, MAI!!!"). Risultato: Napolitano è eletto con una ridicola maggioranza di 543 voti o giù di lì, appena al di sopra della decenza. . 
Insomma, al di là dell'operato dei singoli, sono 20 anni che non riusciamo ad eleggere un Presidente in condizioni numeriche e politiche di ordinarietà. Ciò è la spia di una classe politica disordinata e confusa, radicata in un sistema-Paese ancor più scombussolato. Possiamo solo sperare che il prossimo Parlamento sia baciato dalla saggezza civile e proponga di nuovo un uomo di profilo politico che catalizzi attorno a sé non meno di 650 voti.
B) Chiunque sia costui, verrà comunque eletto dalle Camere riunite in seduta congiunta. Spero assai che non sia questa l'ultima volta, che cioé non ci troviamo poi a vederci votata una riforma costituzionale che correga in senso (semi-) presidenziale la forma della nostra Repubblica. In Francia, negli USA, in Sudamerica quel sistema viaggia eccellentemente. Da noi sarebbe un' ulteriore fonte di traumi.
Il perché è presto detto: l'elezione presidenziale comporta che il vincitore sia riuscito ad accalappiare i voti dei cittadini, che sono voti estremamente "personali", frutto di un rapporto diretto con la base elettorale, sì che il Presidente può sentirsi davvero "eletto dal popolo", o perlomeno da una certa maggioranza di esso. La qual cosa conferisce a questi capi di Stato l'aria di uomini che hanno saputo "ottenere la fiducia" direttamente dagli elettori, senza intermediazioni, ciò che quindi rende lecite iniziative politiche che la notarile figura del Presidente italiano può solo sognare. Il Presidente, però, una volta eletto, è conscio di essere il Presidente di tutti, anche di quelli che non l'hanno votato. A parte dunque l'ovvio (per così dire) spoil system che porta ai posti di governo persone politicamente vicine a lui, non si concepisce che il neo-eletto agisca solo a favore di chi l'ha votato, scatenando rappresaglie contro gli altri; egli ormai è il Paese incarnato. Non riuscirà mai ad accontentare tutti, perché in politica ciò è impossibile, ma almeno farà in modo da non agire per scontentare scientemente qualcuno. In più, posto pure che i voti popolari siano voti diretti alla persona, il Presidente non ne è vincolato al punto da rendersi ricattabile. Vero è che ciò non mette del tutto al sicuro i sistemi presidenziali da scandali legati a finanziamenti/pacchetti di voti garantiti dai "grandi elettori", da ricambiare con appoggi e provvedimenti di legge ad hoc, però ciò rientra nella "normale" difettosità della democrazia. Provate però ad immaginarvi un sistema presidenziale qui da noi: se un membro del consiglio regionale lombardo faceva shopping di voti della 'ndrangheta a 400 euro l'uno, cosa succederebbe al momento di una campagna elettorale presidenziale? Quali lobby scenderebbero in campo? Quali "poteri forti" si spenderebbero a garantire appoggi numerici, salvo poi presentare il conto, ovviamente salatissimo, dieci minuti dopo l'insediamento?  E quali e quante sarebbero le azioni punitive nei confronti degli elettori dell'altro sfidante?
Credo insomma che il metodo elettivo attuale, pur con le sue orribili farraginosità, sia il meno peggio. I nostri Padri costituenti, del resto, l'avevano messo a punto con cognizione di causa: reduci da un ventennio di dittatura (o "Stato forte", come usa dire) in cui un uomo solo aveva preso il potere e l'aveva mantenuto poggiandosi su un carisma personale oggi incomprensibile, ma all'epoca efficacissimo, la loro idea fu chiara: fare in modo che il Capo dello Stato non rappresentasse una parte degli elettori, ma fosse espressione di  coloro che rappresentavano l'elettorato, cioé appunto deputati e senatori; in tal modo si evitava il rischio di una eccessiva personalizzazione (ergo polarizzazione) del rapporto tra Presidente e cittadini, in più, dovendosi procedere ad un'elezione che richiedeva una certa maggioranza, si auspicava che i numeri convergenti sul nome del Presidente provenissero da più settori del Parlamento, esprimendo così formalmente (transitivamente) la volontà di una larga maggioranza della nazione. Il "filtro" della votazione parlamentare, insomma, garantiva l'elezione di una figura super partes e ben accetta agli elettori, o a gran parte. Visto com'è l'Italia oggi, che è poi l'Italia di ieri in versione 2.0 LOL, spero che questo sistema rimanga. Non è un problema di contenitore, ma di contenuti. E su quelli mi taccio.

domenica 18 novembre 2012

Rispondere è cortesia.....

"Eggregio signor Eligio De Marinis, siamo un gruppo di fans dei bellixximi e bravixximi OnE DiRreCtioN  che abbiamo letto la tua recensione alla loro esibizione al Festival di Sanremo  e ci teniamo a dirti che non siamo contente di come li hai giudicati. Secondo me tu non hai capito un caxxo e hai sparato parole tanto per, e poi sempre con questa cosa dei bimbominkia, ma cosa ne sai tu se io mi diverto con la loro musica e loro mi fanno sognare? E poi volevo precisarti di non dire che Louis Tomlinson è un marinaretto, perché è TRP figoooooooooooo!!!!!!! e anche quella cosa del macho, a me hanno detto quelle che sono tornate dall’Irlanda che erano là vederli che lui haveva la fidanzata. Non puoi dire che ho scritto come le bimbeminkia perché non sto usando abbreviazzioni. Insomma, tu hai scritto quelle cose perché sei invidioso e ti fai aiutare a scriverle da quella tua amica che si chiama Spocchia, ma tanto a te fuori dalla tua Cecoslovacchia non ti conosce nessuno (cmq complimenti per come scrivi in italiano). Adesso vado, ma se vuoi renderti conto di quanto sono fighi guardati il video clip di One THing sul tubo e poi fammi sapere.
Ciao. :P:P:P:P:P:P:P
Kiky 98 (Harry, 6 mitico T amoooooooooooooOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!:::::)))))"


Potevamo esimerci?

In effetti la nostra ricerca della Verità Assoluta, cui ci dedichiamo indefessamente da quando abbiamo passato l’età dei calzoni corti, non può prescindere dalla comprensione approfondita del fenomeno di questi qui. Credo però che il video di OneThing gentilmente segnalatoci possa svelare ulteriori aspetti della cosa, ma soprattutto è importante considerare come esso ci metta in comunicazione con le più profonde radici storiche del bimbominkismo.Ma cominciamo l’analisi (il video si vede qui)
Inizio videoclip: solito attacco da villaggio dei Puffi. I ragazzi sono vestiti come maggiordomi ad una Cresima, ma almeno, grazie ad un’abbinata cromatica meno delittuosa di quella di Sanremo, le nostre venerande rètine sono salve.
Minuto 0.05: inizia ancora Catechista Mancato. Raffinatissima la disposizione a pentagono, l’unica che sono capaci di assumere, a questo punto. Sawio Badilato, in posa superbulla, ha una incredibile faccia da schiaffi e non aspetta altro che qualcuno gli tiri la torta. Venditore di tappeti e Biondo Insulso si guardano inutilmente, mentre Marinaretto Macho, pardon, Louis Tomlinson (che cognome da Hobbit....) esibisce un paio di bretelline veramente pucciose.
Minuto 0.11: gulp! Dopo un primo piano su Catechista, che ne svela la bocca storta, il montatore del video deve aver bevuto 12 vodke, poiché si passa ad una scena assurda coi cinque che camminano abbracciati muovendosi idiotamente.
Minuto 0.20: dopo un nuovo, angosciante, primo piano su Catechista, subentra Sawio Badilato, prima in posizione da cretinetto, poi in primo piano con la bocca sempre più larga. Da 0.24 a 0.27 la follia torna sovrana: altro flashback di loro che giocano coi palloni salterini e le macchine a pedali. Tipica regressione infantile pro bimbominkibus. Si torna con 0.28 a Sawio Badilato, le cui labbra a succhiotto spolperebbero un tirannosauro vivo. Da notare i sorrisi da acquagym di Catechista e Louis sullo sfondo, sfocati dal primo piano del loro complice. Da 0.30 a 0.35 è di nuovo Dadaismo, tutti sulle biciclettine. Bisogna dire che la serie di rimandi onirici al mondo dell’infanzia è notevole.
Sì, ecco, sparateci qui....


Minuto 0.36: ecco Venditore che ci delizia fino al ritornello, con inserto metanarrativo a 0.42-0.43 per mostrarci loro che giocano a inseguirsi tra sculture postmoderne non definibili.
Minuto 0.44. la svolta. I ragazzi salgono su un autobus scoperto e dal villaggio dei Puffi vanno direttamente a Londra, urlando il ritornello per via. Ed è tutto un tenersi spalla a spalla, guardando il futuro con occhi fiduciosi che il fenomeno bimbominkia darà sempre da mangiare alle boyband. A naso, il più inquadrato è Sawio Badilato, il che dimostra che il ranocchio dalla bocca larga tira bene in tutto l’Occidente. Sawio Badilato, che peraltro. a 0.48, fa per aprire l’ombrello anche se non piove.
Minuto 1.04- 1.05: eccoci giunti a Camelot, cioè sul Tamigi. Una folla plaudente ed ubriaca di femmine multietà attende l’arrivo del Simpatico Quintetto, il quale si degna di scendere dalla carrozza a 1.12: casualmente erano già pronti i microfoni, ma soprattutto la chitarra per Biondo Insulso.Si passa dunque alla seconda macrosequenza del video, grondante originalità: balla balla, battimani battimani, foto con i cellulari delle fan, il tutto in un perfetto clima da ultimo giorno del grest. Peraltro fatichiamo a convincerci che ragazzi così... come dire... piccini abbiano delle fan ultraquarantenni come quelle del video: forse costoro sono state ingaggiate con l'inganno, tipo: “Cercasi figuranti per il nuovo video dei Take That”... Oppure sono le numerose cugine. Tant'è...
Ahò, Machittevòle????


Minuto 1.16-1.17: Biondo Insulso improvvisa un pezzo alla chitarra sotto gli sguardi perlomeno perplessi di Louis e Venditore che sembrano chiedersi: “Ma questo scemo per finta è davvero nostro compagno?”. Lo strazio continua a 1.20- 1.21 allorché Biondo si produce nel Ballo dell'Intestino imbarazzato, coreografia secondo noi sconosciuta persino a Garrison. Frattanto, giusto per omaggiare la globalizzazione, Catechista si fa fotografare con una lattaia olandese e Venditore con una musulmana.
Minuto 1.23 – 1.24: momento “Sigla di Bim Bum Bam anni '80”: Biondo Insulso tenta di far concorrenza a Sawio Badilato allargando a voragine la boccuccia per dire: “All day and all night”, ma il bello è che da sotto spunta la testolotta di Venditore che ci ricorda Uan quando interagiva con Paolo Bonolis. Impressione confermata dalla svolta maschiaccia di 1.31- 1.32, allorché, mentre Louis canta il suo pezzetto, Venditore gli si struscia guanciotta contro guanciotta (notare peraltro che Louis sembra dire: “Ma gioia, qui davanti a tutti....?"). E ancora l'interazione Uan- Bonolis ritorna alle nostre menti...
Ah, non sei tu che guida?- No, pensavo fossi tu....!!!


Ma il secondo inciso incalza: nella prima metà è tutto un frullare di saluti, baci, balli con fans prossime alla menopausa (1.46- 1.47), mentre altre (sempre 1.47, un fotogramma prima) sembrano appena essersi liberate da un brufolo sotto il piede. Si accenna però alla ripresa del viaggio di questi qui, che infatti riprende, ormai calata la sera, nella seconda metà, in una Londra luminosa e ombreggiata (ah, Westminster... ah, il Big Ben...), ma sempre popolata da femmine che girovagano per via, mentre altre sono rimaste in piazza, attendendo invano che Louis e soci ritornino e intanto salutano a caso la telecamera.E' però l'intermezzo melodico tra il secondo inciso e il finale a rivelarci il messaggio allegorico del video: mentre i Cinque Simpaticoni gridano “Oo-oooo-oooohhh” in mezzo al buio, nuovo inserto fotogrammico (a 2.20) di loro sulla scalinata di inizio video, intenti ad accennare una ridicola coreografia passo- passo braccio-braccio della cui ridicolaggine essi stessi si mostrano consci, guardandosi come tra idioti. Ecco la sottigliezza: voi Nativi Digitali siete in tal modo avvisati che la New Era delle Boyband prescinde da tutto l'armamentario coreografico cui Menudo, Pasadena, Take That et similia ci abituarono. Roba d'altri tempi, ridicola in fondo, visto che se uno canta mica ha bisogno pure di ballare per far arrivare la canzone. E' di fatto la sconfessione di tutta una linea artistica che ci siamo portati dietro per 25 anni. No, ci stanno dicendo questi giovani profeti del Bimbominkismo, oggi la progettualità è bandita, tutto dev'essere improvvisato e random, come i nostri videoclip. A conferma di ciò, il nuovo e più inquietante messaggio, il cui protagonista non poteva che essere Sawio Badilato: a 2.25 ecco comparire sul marciapiede l'oggetto più ovvio, un divano di pelle rossa, con a fianco tavolinetto ed abat-jour. E mentre Sawio Badilato ripete: “You've got that one thing”, puffete, lo troviamo disteso sul divano, in posa da soubrette e col solito sorrisino scemo, addosso a Venditore, Biondo Insulso e Catechista che invece sono seduti normalmente. Tipica situazione da momento-ciucca delle feste del liceo a casa del compagno benestante. Superfluo è domandarsi cosa ci faccia un divano per strada in pieno centro a London, e sopratutto cosa c'entri col resto del video. Tutto riposa evidentemente nei traumi d'infanzia del regista.
"Sacrifichiamolo a Manitù, coraggio!". "No, non qui, pietàhhhhh"


Il video scivola poi in ripetute sequenze notturne di loro in mezzo alla folla o sull'autobus, salvo una nuova scena-divano, stavolta con loro che sbucano da dietro il mobile facendo “Bau, sorpresa!” non si sa a chi, fatto sta che una canzone dal testo che farebbe crepare d'invidia il miglior John Donne (Get out get out of my mind – come on come into my life) si chiude sulla faccia di Sawio Badilato.
Che dire? Beh, se il sottoscritto “e la sua amica Spocchia” dovessero giudicare sulla base di parametri, diciamo, anni '80 -'90, dovrebbero parlare di un ritorno alle origini, specialmente pensando ai primi videoclip di MTV, così deliziosamente artigianali e sopratutto privi di qualsiasi contenuto che non fosse una serie di immagini vagamente connesse tra loro, spesso usate come riempitivo giusto per arrivare alla fine della canzone (esempio, oppure, ma anche; s'intende che l'elenco sarebbe mostruoso ed infinito) . Ma siamo nella Bimbominkias' Era, ed ecco che tutto si fa zapping, collazione di frammentini d'immagini della durata di un secondo, richiami continui alla stupidera fanciullesca e pre-adolescenziale come regola di vita, inverosimile successo di bambocci che seducono le loro zie  (Gesù, una puntata di Amici?). E' però tutto in linea con l'esaltazione della giovinezza prolungata tipica dei nostri sciagurati giorni (voce dal fondo della sala: “E i professori trentacinquenni su Facebook, allora?” - Beh, i Romani hanno sconfitto Annibale portandogli la guerra in casa....). Non è un caso quell'analogia da noi spocchiosamente notata tra il video degli OD e le sigle di Bim Bum Bam e Ciao Ciao: se quelle avevano un tot di umile sciocchezzeria dovuta al fatto che si trattava poi di sigle di contenitori di cartoni animati, qui la cornice del contenitore si è fatta contenuto. Come la fanciulllezza è l'involucro della maturità dal quale un giorno o l'altro ci si deve svestire, così uno di noi giovanetti d'allora metteva su Italia Uno mica per sentire la sigla di BBB, ma per Holly e Benji. Oggi invece il messaggio è: “Nativi Digitali, fate come se la vita fosse una perenne sigla d'apertura. Non entrate mai nel pieno del programma, evitate le cose serie, la piacevolezza è nella leggerezza”, come quella del tutto sconsiderata che il video di One Thing evoca in quelle inconsulte immagini iniziali di macchinette e palloni, più ovviamente i sorrisi di Sawio Badilato che meriterebbero il cannonneggiamento. Il tempo deve fermarsi a quegli anni lì, sempre per la questione del migliore controllo delle masse sciocche, che scioccamente amano farsi controllare. Grazie e arrivederci.
P.S.: comunque, sfruttando le ambiguità semantiche della lingua inglese che non distingue i generi, si può affermare che a Louis Marinaretto piace quell'unico coso lì.
P.P.S.: comunque, se questi qui sono bambolotti dell'asilo, questi altri sono un feto al quinto mese, ma questi altri ancora hanno subito violenza da piccoli.